Grafica Veneta, preso anche il carceriere degli schiavi pakistani. Gli arrestati non parlano

Giovedì 29 Luglio 2021 di Marina Lucchin e Marco Aldighieri
La drammatica immagine del lavoratore pachistano trovato legato e picchiato sul ciglio di una strada nel padovano

PADOVA Da autista del furgone che portava gli schiavi in azienda, a picchiatore senza scrupoli che, assieme agli altri kapò, pestava a sangue gli operai ribelli, li derubava di tutto e poi li scaricava per strada legati, con il volto in alcuni casi ridotto a una maschera di sangue. E proprio per queste sue doti, Farman Ullah, 39enne, era considerato il tuttofare del gruppo. Il pakistano, braccio destro dei titolari della Bm Service di Trento - i Badar, padre e figlio - l'azienda che aveva in appalto l'inscatolamento dei libri all'interno del colosso editoriale padovano, Grafica Veneta, abitava nella stessa casa di Trebaseleghe dove erano stipati i 20 connazionali che aveva il compito di controllare a vista. Ma quando i carabinieri di Padova hanno eseguito il blitz che ha portato in carcere i suoi complici, lui non c'era. Latitante per due giorni, è stato scoperto ieri mattina a Mestre, vicino a un ufficio postale. I carabinieri l'hanno ammanettato e portato in cella al Due Palazzi di Padova, in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare per i reati di sfruttamento del lavoro, rapina, estorsione, lesioni e sequestro di persona. 
I titolari della Bm Service avevano posto proprio Ullah a controllare gli operai nella villetta di via Bigolo 6 a Trebaseleghe: abitava lì ed era la loro guardia. Controllava che nessuno uscisse dall'alloggio, al mattino li caricava sul furgone e li portava in azienda a lavorare, al pomeriggio inoltrato li riportava indietro. Era lui, inoltre, che assieme agli altri picchiatori, ha massacrato di botte all'interno dei dormitori i connazionali che tornavano da Padova dopo un colloquio alla Cisl per raccontare la loro situazione. 
E il suo compito era anche quello di convincere, con le cattive, gli altri pakistani a restituire parte dello stipendio facendosi consegnare il bancomat e il pin.

Le minacce erano la sua specialità, ma se queste non fossero bastate, non aveva nessun problema a passare alle mani.


LA PAURA

I lavoratori sfruttati temevano per la loro incolumità e per quella delle loro famiglie. Erano terrorizzati, come i dieci che hanno trovato la forza di denunciare i loro aguzzini e hanno permesso ai carabinieri di fare partire le indagini. Ora, tutti e dieci, si trovano in una comunità protetta in vista dell'incidente probatorio previsto per i primi di settembre. Uno di loro preoccupato per le sorti della moglie e dei figli, dopo avere fornito la sua testimonianza agli inquirenti, è partito per il Pakistan per metterli al sicuro da un'azione di vendetta. E del resto nell'ordinanza di 95 pagine, è stato sottolineato dal Gip come i pakistani al comando di padre e figlio Badar, agissero con un stile mafioso. E così il coraggioso lavoratore dopo avere trovato una sistemazione sicura per la sua famiglia, è ripartito per l'Italia sicuro di ottenere giustizia, ma soprattutto un futuro migliore.


IN TRIBUNALE

Ieri tutti gli undici arrestati, davanti al Gip Domenica Gambardella, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Motivo, i loro legali vogliono prima studiare gli atti per poi pianificare una linea difensiva. Insomma hanno fatto scena muta anche i personaggi chiave dell'operazione Pakarta. Quindi l'amministratore delegato di Grafica Veneta, Giorgio Bertan di 43 anni difeso dall'avvocato Emanuele Fragasso Junior, e il suo braccio destro Giampaolo Pinton 60 anni direttore dell'area tecnica e affiancato dal legale Giovanni Chiello. Come non hanno parlato padre e figlio Badar difesi dall'avvocato Fabio Valcanover di Trento. Il papà, Mahmmod Arshad Badar, è anche un imam della comunità musulmana pakistana che opera tra Brescia e Bergamo. Il religioso avrebbe ingaggiato diversi lavoratori proprio tra i suoi fedeli, nella maggiore parte connazionali appena arrivati in Italia e in cerca di un impiego. 

 

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