Montegrotto. Gianmarco Tamberi: «Il nuovo coach? Ci voglio pensare bene. Non sarò mai appagato, ho molti obiettivi»

L'atleta era ospite all'hotel Antoniano Terme a Montegrotto per i 60 anni dell'Aics

Giovedì 22 Dicembre 2022 di Daniele Pagnutti
Gianmarco Tamberi a Montegrotto per l'Aics

MONTEGROTTO - Una serata a Montegrotto per i 60 anni dell'Aics, ospite dell'hotel Antoniano Terme: Gianmarco Tamberi appare in gran forma, nonostante un piccolo risentimento al bicipite femorale sinistro che lo accompagna da alcuni giorni. «Niente di che, ho sentito un piccolo fastidio mentre correvo, adesso sto attento a non forzare, ma continuo ad allenarmi; succede spesso di dover convivere con piccoli guai, si va avanti lo stesso». Da solo? Dopo il divorzio definitivo dal padre allenatore, ufficializzato in ottobre, tutti attendono il nome del nuovo coach. «Lo so, è la domanda che mi fanno tutti di continuo. La risposta è sempre la stessa: ci voglio pensare bene, non ho fretta.

In questo momento mi alleno ad Ancona più o meno da solo, diciamo che parlo con qualcuno. Le ultime gare di Diamond League le ho affrontate da solo, dimostrando che dopo tanti anni di esperienza, posso anche regolarmi per conto mio».

É una prospettiva? «Ma no, ho già detto che ciò di cui ho più bisogno adesso è un preparatore atletico, poi arriverà anche il coach; qualcuno in mente ce l'ho, ma per il momento me lo tengo per me. D'altra parte non ho fretta, anche perché non ho intenzione di fare la stagione indoor, gareggerò solo all'aperto; il mio obiettivo stagionale sono i mondiali di Budapest, quindi c'è tempo». É stato più facile sposare dopo tanti anni la storica fidanzata Chiara Bontempi che scegliere il successore del padre. «Su questo non c'è dubbio, il rapporto con Chiara è cementato da tempo». I due stanno sistemando casa, sul web gira un video divertente sulla carta da parati o da pareti. Tamberi ride, poi spiega che ha letto che la dizione arriva dal latino parare, cioè addobbare. «Intanto però dietro casa mi son fatto fare da subito un mezzo campo da basket».

Passione nascosta

Secondo l'enciclopedia Treccani, Tamberi è un appassionato e discreto giocatore di basket; Gimbo sorride. «Hanno ragione, magari da bambino ero promettente, poi ho scelto un'altra strada. Ma resta la passione». Dove si trovano le motivazioni per continuare dopo aver vinto praticamente tutto? «A parte il fatto che mi manca ancora una medaglia d'oro, quella dei mondiali all'aperto, ma io credo che non mi sentirò mai veramente appagato. Per tutta la mia carriera è stato così, sempre la rincorsa ad un obiettivo. Adesso ho di fronte Budapest, poi l'anno prossimo Parigi, ma prima c'è l'europeo in casa a Roma e per me sarà un bene, perché all'Olimpico davanti al pubblico di casa voglio godermela. Poi dopo il 2025 si vedrà; al momento penso di smettere, ma volevo farlo anche dopo Tokyo e invece eccomi qua». L'infortunio prima di Rio 2018 è stata la prova più dura? «Quell'infortunio mi ha cambiato la vita. Prima pensavo di voler vincere, ma anche di avere una vita, tipo la fidanzata, gli amici, le vacanze. Dopo quell'infortunio ho pensato solo che volevo vincere a Tokyo e ho sacrificato tutto, ogni cosa per l'oro olimpico. So io i dubbi che ho avuto, le frustrazioni che ho provato, il travaglio per tornare ai massimi livelli, senza la certezza di farcela. Dovevano essere quattro anni, poi sono diventati cinque per il Covid, per me è come se fossero stati trenta. Se ho superato quello, non mi può più far paura niente; posso anche perdere tutte le gare della carriera saltando 1.80, ma mi resta quella vittoria e ciò che ho fatto per conquistarla». Ai tanti giovani che lo guardano come un eroe positivo, che cosa dice Tamberi? «Che i loro sguardi e i sorrisi mi caricano ancora di più. Dico loro di credere nei sogni, di coltivarli, di non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà. Non importa se non si diventa dei campioni, l'importante è non arrendersi mai; lo sport è una scuola di vita, richiede sacrifici, forma il carattere, insegna a rispettare se stessi e gli altri. E da grandi soddisfazioni per ogni piccolo progresso, conquistato un po' alla volta. Per me è stato così». 

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