Giancarlo Galan torna libero: «Il mio processo è da rifare»

Giovedì 5 Gennaio 2017 di Giuseppe Pietrobelli
Giancarlo Galan torna libero: «Il mio processo è da rifare»
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Un chiodo fisso, per l’uomo che fu potente, riverito, osannato. E poi è finito nella polvere dell’inchiesta per il grande scialo del Mose, accusato di corruzione, incarcerato per tangenti, radiato dal Parlamento come una vecchia auto che non serve più. Giancarlo Galan sta vivendo le ultime ore da recluso in casa a Rovolon, sui Colli Euganei, e sta cominciando a dar corpo a un desiderio inconfessato, forse inconfessabile vista l’aria che tira. Essere riabilitato. Rimescolare le carte giudiziarie, rimettere in discussione il patteggiamento, allontanare l’ombra della condotta penalmente rilevante che ha oscurato tre lustri di amministrazione regionale di centrodestra in Veneto, la sua figura politica, il suo decisionismo e due esperienze da ministro, dopo che aveva lasciato con riluttanza Palazzo Balbi.
Come un cammello che deve passare per la cruna dell’ago, Galan è disposto a cercare la resurrezione attraverso una porta piuttosto stretta che la procedura penale gli consente. “Voglio la revisione del patteggiamento” è il suo chiodo fisso, rimuginato per mesi e piantato ora più che mai in testa, visto che sta arrivando il momento di tornare ad essere un uomo libero. La determinazione si starebbe già concretizzando nella ricerca di prove a sostegno della richiesta, nonostante l’accettazione della pena nell’autunno 2014 e la confisca della sua villa, finita allo Stato per contribuire al pagamento dei danni. L’accordo fa riferimento a due milioni e 600 mila euro, ma lo storico edificio immerso in un grande parco, secondo una stima di parte, avrebbe un valore di tre milioni mezzo di euro. Ma Galan ha effettuato una devoluzione completa.
Già, le prove. Ma quali? I punti di aggressione all’epilogo processuale dell’inchiesta sarebbero soprattutto due. Tengono conto del fatto che non ci sono prove dirette dell’avvenuto pagamento di tangenti da parte del Consorzio Venezia Nuova, anche se il patrimonio personale di Galan era sproporzionato per sovrabbondanza, al momento dei sequestri, rispetto a quanto aveva ufficialmente guadagnato negli anni incriminati. A pesare sono state soprattutto le dichiarazioni di Giovanni Mazzacurati, il grande vecchio del Mose, e la ex segretaria Claudia Minutillo. Per sminare i verbali dell’ingegnere Galan proverà a dimostrare che quando li riempì di dichiarazioni (dopo l’arresto avvenuto nell’estate 2013) era già in quello stato confusionale che lo ha portato (ora è negli Stati Uniti) a una forma di demenza senile che gli impedisce di ricordare date, fatti e nomi, collegandoli in modo coordinato. Insomma, nella migliore delle ipotesi si sarebbe confuso, attribuendo a Galan circostanze che potrebbero aver riguardato altre persone. Per dimostrarlo bisognerà risalire alla situazione clinica dell’epoca, grazie a documenti medici che possano sostenere la tesi della malattia.
Ma pesano anche le accuse di Claudia Minutillo, un tempo fedele collaboratrice, poi coinvolta in strani affari a San Marino e in un giro di fatturazioni compiacenti che l’hanno portata in carcere. Anche lei vuotò il sacco, ma siccome non si può ipotizzare la confusione mentale, la confutazione dovrà seguire altre strade, lungo un percorso già anticipato quando Galan presentò la prima memoria difensiva al gip di Milano, nel 2014. In quelle pagine la accusò di essersi appropriata nel 2005 di una cifra ragguardevole, tra i 400 e i 500mila euro provenienti da alcuni imprenditori veneti che intendevano in tal modo finanziare la campagna elettorale che si sarebbe conclusa con la rielezione di Galan per la terza volta. Ma è evidente che Galan dovrà avere in mano qualcosa di più. Potrebbe riguardare proprio l’attendibilità delle accuse della Minutillo, alla luce di altri comportamenti, forse addirittura una simulazione relativa alle tangenti.
Ma si può conciliare la revisione con l’accettazione della pena, che sembra molto a un’ammissione di colpevolezza? Galan ha sempre negato le accuse: «Sono innocente, non ho preso un euro. Ho patteggiato solo per la mia famiglia. In carcere ho pensato al suicidio, mi ha salvato il pensiero dei miei cari. Rifarei tutto, anche il patteggiamento: in carcere non c’erano alternative».
Ora le pendenze penali stanno per diventare passato. Il momento fatidico è fissato per domani, 6 gennaio, giorno dell’Epifania. A Galan dovrà essere notificato in casa il provvedimento di fine pena, una formalità, un documento già pronto visto che il conteggio è abbastanza semplice. L’ex governatore del Veneto è finito nel carcere di Opera a Milano il 22 luglio 2014, poi ha ottenuto i domiciliari. L’orologio ha cominciato a contare il tempo quel giorno. Poi Galan ha patteggiato una pena di due anni e 10 mesi di reclusione, trascorsi ai domiciliari, prima nella fastosa Villa Rodella a Cinto Euganeo, poi in una villetta di un amico a Rovolon. Sono stati quindi dedotti i giorni previsti per la buona condotta. Si stanno così per fermare le lancette di una espiazione della pena che ha conosciuto una finestra di due ore al giorno in cui Galan è stato libero di uscire. Poi, la blindatura in casa, con il divieto di ricevere ospiti (ad eccezione dei familiari e dei propri difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini) o di tenere conversazioni telefoniche con estranei. Da domani sarà libero. Di uscire. Ma anche di coltivare sogni di rivincita giudiziaria.
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