Chitarre, bagigi e voglia di cambiare:
il Capodanno al presidio dei "forconi"

Mercoledì 1 Gennaio 2014 di Giorgio Scura
Il Capodanno nel Presidio dei Forconi di Cittadella
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CITTADELLA (PADOVA) - Ventitrè giorni. Natale, Santo Stefano e ora anche Capodanno. E non si fermano, non sembrano stanchi. Stanno lì. Al presidio dal 9 dicembre che dà il nome al loro movimento di protesta ("Ma se ci chiamate forconi non ci offendiamo, anche quella è brava gente" dice Renzo).



Fanno i turni: giorno e notte c'è sempre qualcuno. Una parte di Cittadella, l'antica e gloriosa città murata un tempo tra le più ricche d'Italia, lotta e protesta, in un capannone ai margini di una rotonda, montato su bancali di legno, perché il freddo e il fango si possano sopportare meglio.



La solidarietà è tanta: viveri e legna basterebbero per un esercito, li porta la gente comune, un panettone o un kg di pasta, una bottiglia di vino o meglio due: si morirà certo, ma non di fame nè di sete.



C'erano anche ieri, cenone, conto alla rovescia, brindisi (VIDEO). Certo il menù non era da hotel a 5 stelle (pizza), ma vino e compagnia non temevano confronti, tra una chitarra che suona Battisti e montagne di "bagigi" sui tavoli, sbucciati e mangiati più per inquietudine che per fame.



Chi si aspetta disperati o nullafacenti si sbaglia. L'anima di questo gruppo, variegato sia da un punto di vista politico sia anagrafico, è fatta di piccoli imprenditori ("Neanche troppo piccoli, quello lì ha 80 dipendenti" indica uno dei presenti: nel parcheggio c'è una Maserati Quattroporte fiammante, oltre a Mercedes e Bmw). La vera anima del Nordest, quella che un paio di decenni orsono faceva registrare aumenti di Pil a doppia cifra e che in questa crisi sta perdendo prima di tutto l'identità, ma non la dignità.



Un'anima che non molla, per indole e tradizione, che alla mattina va in azienda e alla sera va al presidio. Che vuole cambiare e non capisce "chi è a casa, senza lavoro o in cassaintegrazione, a non far nulla: perché non viene qui?". E questo è l'unico momento in cui nei loro occhi si legge profondo dispiacere.



La domanda che tanti si fanno, la giriamo a loro: a cosa serve tutto questo? "E' un modo per cercare di sensibilizzare le persone - dice Giovanna - far capire che non si è soli in queste difficoltà economiche. Cercare di evitare altri morti, altri suicidi per la crisi, innanzitutto".



Come? "Stando qui, facendoci vedere. Prima facevamo più blocchi stradali - dice Daniele - adesso stiamo facendo qualche blitz, come quello a casa della Puppato o di Galan. Cerchiamo di mantenere alta l'attenzione. Non è facile dopo tanti giorni, Ma da qui non ce ne andiamo".



Cittadella è solo un pezzettino di questo fenomeno: solo nel Padovano ci sono presidi attivi a Loreggia, Monselice, Padova Zona Industriale. E poi in Veneto, la Regione dove più ha attecchito questa protesta non violenta (non fanno un passo senza l'autorizzazione delle questure), Soave (il più grande), Conegliano, Barbarano. Annunciano altri "blitz", processioni in ricordo dei tanti che si sono ammazzati dopo aver perso tutto e anche di più.



Qualcuno dà la colpa a loro se non si vende più nei negozi (anche se il traffico non è mai stato paralizzato, ma solo rallentato "come se ci fosse un semaforo in più", dicono). Qualcun altro cerca di ignorarli, come se un fenomeno del genere, che ormai coinvolge migliaia di veneti, forse decine di migliaia, potesse davvero essere invisibile.



Rifiutano ogni bandiera politica ("bravi i ragazzi del Movimento 5 Stelle, ma dovevano e potevano fare di più, soprattutto all'inizio" la credenza più diffusa), solo il Tricolore ("anche se qualcuno ha avuto da ridire anche su quello" raccontano), non sono fascisti, non sono antagonisti, loro si definiscono semplicemente popolo, gente, persone comuni che si sono "rotti i...". E stanno lì.



Ultimo aggiornamento: 8 Aprile, 00:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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