Falso sopravvissuto. «Impreciso, ma ad Auschwitz c'è stato. I documenti? No, per ora no»

Sabato 1 Febbraio 2020
Falso sopravvissuto. «Impreciso, ma ad Auschwitz c'è stato. I documenti? No, per ora no»
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PADOVA - Le risposte evasive di giovedì e l'imbarazzo altrettanto notevole di venerdì. L'ingegner Samuel Gaetano Artale resta chiuso nel suo appartamento padovano alla Guizza, poco distante dalla sede della sua azienda, e da qui prova a ribattere all'accusa di essere un falso testimone della Shoah. «Non sto bene, sto facendo fisioterapia e non vorrei rispondere ad altre domande sono le sue prime parole alle 11 del mattino , le passo la mia segretaria». 

L'assistente è una donna molto più giovane di lui. Quando prende in mano il telefono prova a difendere il padrone di casa, ma viene interrotta continuamente perché Artale è lì accanto e cambia idea. Decide di intervenire in prima persona per dire la sua e per provare a rispondere. Ne segue una conversazione di venti minuti in cui i non so superano di gran lunga le risposte limpide e chiarificatrici. Se giovedì l'ingegnere aveva spiegato di non volerne parlare, questa volta si rende più disponibile. Ma la sua è una ricostruzione confusa e piena di punti oscuri. 

 

Falso sopravvissuto al lager, lettera di Liliana Segre al Gazzettino

PADOVA - Una lettera al Gazzettino della senatrice Liliana Segre e l'annullamento dei prossimi due incontri che avrebbero visto protagonista Samuel Gaetano Artale .

Sono gli effetti dell'inchiesta del nostro giornale, che venerdì ha raccontato le incongruenze presenti nelle testimonianze dall'ingegnere ottantaduenne, presentato nelle scuole e nei municipi di tutto il Veneto come "uno degli ultimi sopravvissuti dal campo di sterminio di Auschwitz ".


LA FAMIGLIA
«Io posso dire semplicemente che ho conosciuto la sorellastra e il fratellastro dell'ingegner Artale racconta la donna più di dieci anni fa. Volevo capire anche io per quale motivo se l'ingegnere era nato a Rostock risulta che sia nato a Cosenza». Interviene Artale: «La mia sorellastra Clementina è morta l'anno scorso a novembre, aveva 89 anni». Riprende l'assistente: «Questa Clementina mi disse che non ne sapeva nulla. Mi raccontò che da bambina era nella casa di campagna quando le fu portato un bimbo con i capelli ricci e biondi: era lui. Le dissero che quello era il suo nuovo fratello». Ma in quale casa di campagna? E chi portò il bimbo? «Non lo sappiamo» rispondono entrambi. 
Il racconto della donna prosegue: «L'ingegner Artale aveva un cugino che si chiamava esattamente come lui, nato lo stesso identico giorno e lo stesso anno. Ho chiesto come mai, mi hanno risposto che forse all'ingegnere hanno dato lo stesso nome e la stessa data di nascita perché probabilmente nemmeno sapevano quando fosse realmente nato». Legami dimostrati con Rostock, però, ancora non ce ne sono. 

IL GARAGE
La donna prosegue nella sua strenua difesa dell'anziano: «L'unica cosa che posso dire è che Artale ad Auschwitz ci è stato. Se ci sono delle cose che lui ha dichiarato e che sono incongruenti, io alzo le mani. Ma pulendo il garage ho trovato dei suoi documenti degli anni Settanta, quando lui era andato in Germania per lavoro, dove gli avevano messo il timbro Juden (ebreo, ndr). Interviene, alzando la voce, Artale: Juden, Juden!. Come a voler ribadire la propria reale origine. 

«Magari non riporterà le cose corrette come sono e magari ne tace determinate altre prosegue la segretaria ma il fatto che non sia stato internato nel campo di concentramento è tutto da dimostrare. Io a casa dell'ingegnere ho visto dei documenti in cui lui faceva delle richieste per ritrovare la sorella (internata con lui assieme al resto della famiglia, secondo i racconti di Artale, ndr). Ho visto anche dei documenti su quando la Germania doveva risarcire dei reduci di Auschwitz. Il tatuaggio con i numeri sul braccio, inoltre, ce l'ha da sempre». Alla nostra richiesta di poter vedere parte di quei documenti, però, la donna si chiude a riccio: «No, dobbiamo finire di fare la terapia». Interviene Artale: «Fa pure freddo». La donna continua con lo sfogo: «Io le dico solo che ogni anno in questo periodo l'ingegnere finisce all'ospedale perché si parla della Shoah. Piange tutti i giorni, ha ancora gli incubi di notte e sente i cani che arrivano. Io lo sto curando perché non mi finisca in ospedale anche quest'anno. Se volete altre spiegazioni, aspetterete».
G.Pip. 

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