L'impero cinese dell'evasione: 13 società "apri e chiudi". Il capo non compariva mai, tradito dalla passione per il gioco

Venerdì 18 Febbraio 2022 di Nicola Munaro
L'impero cinese dell'evasione: 13 società "apri e chiudi". Il capo non compariva mai, tradito dalla passione per il gioco
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PADOVA - Il vizio che l'ha fatto cadere è stata la sua passione per il gioco d'azzardo: da perfetto nullatenente che all'Erario dichiarava nulla o poco più nel corso degli anni aveva messo sul tavolo verde dei casinò della Slovenia, o investito in scommesse nelle sale da gioco del Veneziano e del Padovano, soldi cash per 180mila euro.
Dall'incrocio delle banche dati e dalle segnalazioni ricevute i militari del 2° Nucleo operativo metropolitano della guardia di finanza di Venezia sono partiti per portare alla luce un impero fatto di aziende di abbigliamento dormienti o apri-e-chiudi, buone cioè solo per guadagnare, evadere il Fisco e poi sparire nel dimenticatoio lasciando in eredità ai proprietari l'intera somma incassata durante l'attività. Tutte aziende a gestione cinese come cinese è il deus ex machina della storia.
Quarantaquattro anni, residente nel Veneziano ma di casa nel Padovano in una villa, formalmente non sua, è il principale indagato dell'inchiesta condotta dalla Finanza e che ieri ha portato al sequestro di 22 milioni di euro quanto, cioè, non versato al Fisco dalle tredici aziende di cui lui teneva le fila, pur non apparendo mai.


IL DENARO

Negli anni messi sotto la lente d'ingrandimento dalla guardia di finanza di Venezia, cioè dal 2013 al 2019, le tredici società non avevano mai dichiarato i propri incassi all'Erario o, se lo avevano fatto, l'avevano fatto in minima parte arrivando a non farsi tassare guadagni per oltre 52milioni di euro sui quali avrebbero dovuto pagare le tasse, cioè i 22 milioni di euro per cui è stato firmato il sequestro per equivalente protagonista dell'operazione di ieri mattina.


IL BOTTINO

Nell'inchiesta, con le accuse a vario titolo di omessa presentazione delle dichiarazioni di redditi e dichiarazione infedele dei redditi, oltre al quarantaquattrenne sono finiti altri diciassette impresari cinesi, mentre tutti e tredici i laboratori di abbigliamento, in gran parte con sede nel Padovano alcuni dei quali all'interno del Centro Ingrosso Cina di corso Stati Uniti sono stati messi sotto sigillo dalle fiamme gialle a chiusura di un blitz che li ha portati nelle province di Venezia, Padova, Milano, Bergamo, Mantova, Pavia, Udine, Pordenone, Bologna, Rimini, Firenze, Prato e Roma, città dove i diciotto indagati avevano la residenza.
Per raggiungere la cifra da restituire allo Stato i finanzieri hanno bloccato tutte e tredici le società, conti correnti, quattro abitazioni (tra le quali spicca una villa di lusso nella provincia euganea), sette automobili, quote societarie e denaro contante. In una delle abitazioni sono stati trovati 46mila euro in contanti nascosti in un doppio fondo di un armadio, mentre in un'altra è stato ritrovato un orologio di lusso e 10mila euro in contanti.
Perquisiti anche gli studi di alcuni commercialisti incaricati di tenere la contabilità delle varie aziende: i finanzieri hanno portato via dagli archivi i faldoni delle aziende mentre i professionisti sono del tutto estranei al fascicolo d'indagine.


IL MECCANISMO

Schermare, schermare e ancora schermare, fino ad essere invisibili. Questa la trama di gioco tessuta dal quarantaquattrenne che, attraverso un dedalo infinito di sotterfugi, era riuscito a non finire mai nell'elenco delle aziende da controllare. Lui, che coordinava tutte le tredici imprese, non ha alcun ruolo in nessuna di esse, ma ogni cosa era riconducibile a lui che riusciva a coinvolgere amici e parenti nel farsi nominare amministratori delle società.
Piccole aziende di abbigliamento nate dal niente, con vita di pochi anni (al massimo due) e poi messe in silenzio. A unirle, oltre al lavoro di burattinaio del principale indagato, la frequente delocalizzazione: aperte nel Padovano o nel Veneziano, poi venivano spostare nei grandi centri metropolitani d'Italia per finire in un calderone più grosso e diventare introvabili. C'era, poi, una commistione di sedi: in una di esse, nel corso degli anni d'indagine, si sono alternate sei società e in un caso due società avevano sede ad un unico civico. Per confondere ancora di più le acque, ecco lo scambio di ruoli tra i diciotto protagonisti: chi in un'azienda era amministratore, in un'altra era un operaio.
E, ovvio, anche le auto e le case non erano utilizzate dalle persone a cui erano intestate: l'auto del quarantaquattrenne, ad esempio, era intestata a una delle società ma il Telepass di cui usufruiva figurava essere di una donna che con la società proprietaria della macchina non aveva nulla a che fare.

Fumo negli occhi del Fisco mentre le attività andavano bene, tanto da garantire incassi milionari e mai dichiarati.


LA TRACCIA

Ed è questo il prossimo punto dell'indagine: analizzando i conti sequestrati (ne sono stati setacciati 84 durante tutta l'inchiesta) le fiamme gialle vogliono capire tutti quei soldi sottratti allo Stato e in parte usati per pagare mutui, bollette, benzina e vita di tutti i giorni che strada prendessero. Soprattutto perché.

 

Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 10:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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