Si chiude un capitolo del grande Nordest. Ennio Doris lascia la presidenza di Banca Mediolanum, la sua creatura diventata uno dei primi istituti di credito e un caso unico nella finanza italiana. «Superata soglia 80 anni è il momento di ridurre almeno in parte il mio impegno quotidiano nella banca», il commento ufficiale del banchiere-imprenditore di Tombolo, in provincia di Padova, socio storico di Silvio Berlusconi.
CONTROLLO
Il fondatore, che nel recente passato ha avuto qualche acciacco, lascia il timone (diventa presidente onorario) ma non il controllo di Banca Mediolanum. Detiene infatti il 6,29% dei diritti di voto, tutti sindacati nel patto parasociale sottoscritto insieme agli altri componenti della sua famiglia, a partire dalla moglie Lina, da sempre al suo fianco nella gestione di questo gioiello della finanza che solo nello scorso agosto ha registrato una raccolta di 595 milioni, il record assoluto per quel mese estivo. Da inizio anno nelle casse di Mediolanum sono entrati oltre 6 miliardi dei risparmiatori a caccia di sicurezza e rendimenti. Nel 2021 la banca ha già conquistato 113mila nuovi clienti, persone in cerca di sicurezze in questa terribile pandemia. Da sempre, Doris spinge sugli stessi tasti per rilanciare l'Italia: «Snellire le procedure, investire nelle infrastrutture e digitale. E c'è bisogno anche di un moderno, ampio e trasparente mercato finanziario» per far decollare le Pmi. Parola di un protagonista di questo mondo, grande azionista di Mediobanca e attento osservatore delle grandi partite della finanza come Generali. «Io sono da sempre per le mediazioni, piuttosto che per gli scontri - spiega Doris a Radiocor -. Da imprenditore capisco a fondo le istanze e le visioni di grandi imprenditori italiani come Leonardo Del Vecchio e Francesco Caltagirone. In linea generale, con riguardo a tutte le cosiddette public company, bisognerebbe trovare forse equilibri maggiori tra gli interessi degli azionisti di peso e la necessaria indipendenza del management».
LA STORIA
La storia di Doris è quella di un uomo che si è fatto da solo. «Devo ringraziare una malattia che mi ha colpito quando avevo 12 anni - spiegava in un'intervista a questo giornale di qualche anno fa - se non fossi stato gracile mio padre mi avrebbe messo a fare il suo lavoro, mediatore di bestiame, come tutti a Tombolo. Invece mi spedirono a scuola e a furia di borse di studio mi diplomai in ragioneria a Treviso». Primo impiego nella Banca Antoniana di Padova. «Per me Dino Marchiorello è stato quasi un padre», ricordava. A 30 anni poteva continuare la sua carriera alla sua ombra. E invece.... «Un giorno mi stava accompagnando al lavoro, aveva una macchina bellissima, una Citroen Palace. Niente in confronto alla mia scassata 850. Mi sedetti dietro e iniziai a pensare: che bella macchina. Marchiorello sta guidando la mia macchina. Marchiorello sta guidando la mia vita. E decisi di andare avanti da solo». Nel '69 entra in Fideuram, nel '71 in Dival. Nell'81 la svolta: l'incontro con Silvio. «Ero a Portofino e incontrai a passeggio Berlusconi. Non ci pensai due volte e gli proposi la mia idea: una struttura di venditori di prodotti mobiliari e immobiliari, Programma Italia. Ero pronto a giocarmi tutto, diventando soci alla pari. Il Cavaliere ci pensò su, fece le sue indagini, e acconsentì». Il resto è parte della storia della finanza italiana.