Da Padova a Los Angeles fino all'Emmy: Anna Cavaliere e la grande passione per i costumi

La costumista ha vinto l'Oscar della tv con la serie "The Great" su Caterina II di Russia. Ora un film a Roma

Giovedì 29 Settembre 2022 di Nicola Munaro
Anna Cavaliere

PADOVA - And the Emmy goes to... «No, non lo sapevamo.

Eravamo sedute anche in fondo al Microsoft Theatre. Quando hanno mandato le immagini delle serie candidate abbiamo visto le telecamere e i microfoni venire verso di noi, al buio. Poi le luci si sono accese e hanno letto i nostri nomi. Veramente chi vince lo sa solo la giuria. Ci avremo messo cinque minuto ad arrivare al palco...».

Il personaggio

Anna Cavaliere, padovana, 39 anni, assistente costumista, di essere candidata agli Emmy awards 2022 per gli abiti della serie The Great - basata sull'ascesa come imperatrice di Caterina II di Russia - l'aveva saputo a luglio, in sartoria. Di aver vinto - insieme a Sharon Long, Viveene Campbell e Bobbie Edwards - l'ha scoperto all'ultimo la sera del 4 settembre, su una poltroncina in una delle ultime file di un teatro icona a Los Angeles, la città dei sogni. Forse - dice adesso mentre è a Roma a lavorare ad un nuovo film - nemmeno ci pensava di vincerlo, l'Emmy. Perché quella statuetta dorata di una donna alata che sorregge un atomo, è per la televisione (e quindi per le serie tv, sue figlie predilette) ciò che l'Oscar rappresenta per il cinema: l'Olimpo. «Non è un sogno» racconta ancora lei, alle spalle il liceo classico al Marchesi di Padova, il Dams a Bologna, poi l'accademia di sartoria del teatro alla Scala di Milano e tante quinte teatrali. «Il premio rappresenta il risultato di sacrifici e di meritocrazia. Noi che lavoriamo ai costumi, che siano di una serie tv o di un film, aiutiamo il regista a raccontare la propria storia. È bello vedere completarsi un personaggio con ciò che indossa e che lo caratterizzerà per tutto il tempo della vicenda. Un costume? Nasce magari pensando a qualcuno che si conosce». Alla tv Anna Cavaliere ci è arrivata dopo una lunga strada. Perché il cuore aveva sempre battuto al ritmo del teatro. «Già al liceo mi ero appassionata alla recitazione e per questo avevo scelto il Dams». Lì, come accade, qualcosa cambia. «Più che alla rappresentazione scenica ho scoperto un amore per i costumi, ho sempre amato cucire e ho iniziato a girare l'Italia per vederne i musei. Questo mi aveva portata alla Scala, alla loro scuola di sartoria. Poi erano venute le mie prime creazioni e il lavoro di otto anni al Teatro Sociale di Como».

La svolta

Poi la seconda sliding door: un biglietto di sola andata (all'epoca) per Londra. «Dopo anni di teatro ho voluto rimettermi in gioco con tempi e lavori diversi e Londra per le serie tv è il massimo», spiega. «Ho iniziato a lavorare come assistente costumista, un ruolo di raccordo tra l'idea del costumista, colui che disegna gli abiti, e chi li realizza nella sartoria. Amo scegliere i tessuti, vedere come un cappello può abbinarsi a un'acconciatura del Settecento o come, in lavori che attraversano più anni nella trama, il costume cambia e si evolve nel tempo». Perché è attorno agli abiti che gira tutta questa passionaccia. «Il nostro è un lavoro impegnativo, ci sono giorni in cui si sta sul set per dieci ore di fila ma amo gli abiti, non la moda. L'abito - e la voce lascia passare un po' di emozione - racconta chi siamo, cosa vogliamo dire, la società e il tempo in cui viviamo, anche quello per cui lottiamo». E quella concezione «da artigiana più che artista» aveva portato il suo nome all'orecchio della costumista di The Great, che l'aveva voluta al suo fianco come assistente. «Se hai fatto bene, il tuo nome gira e i lavori ci sono. È stata una bella sfida anche confrontarmi con abiti e storie ormai lontane da noi nel tempo». Una «bella sfida», come lasciare Como e salire su un volo verso Londra. E chissà se quella scaletta d'aereo le è tornata alla mente mentre saliva sul palco dell'Emmy Awards.

Ultimo aggiornamento: 30 Settembre, 10:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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