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Johnny, titolare del Black Panther, un anno senza discoteche: «Quell'ultima sera a Vo'»

Nordest > Padova
Giovedì 18 Febbraio 2021 di Gabriele Pipia
Johnny Medé gestisce la discoteca Black Panther in centro a Vo , un attività avviata dal padre Gianni 42 anni fa
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PADOVA - Almeno tre giorni alla settimana il quarantenne Johnny sale in macchina e guida dalla sua casa di Rovolon alla sua “seconda casa” di Vo’. Apre il portone, accende tutte le luci e poi dà sfogo all’impianto audio. «Bisogna fare così per farlo vivere» racconta accarezzando con gli occhi ogni metro quadro del suo locale. Johnny Medé gestisce la discoteca Black Panther in centro a Vo’. Ballo liscio, salse latine e musica commerciale, per un’attività avviata dal padre Gianni 42 anni fa. «Lui portava i Righeira - sorride - ma io ho portato Sfera Ebbasta». Il primato però ora è un altro e purtroppo non è di quelli di cui andare orgogliosi: «Siamo stati la prima discoteca in Italia a chiudere per Covid. L’ultima nostra serata risale addirittura a mercoledì 19 febbraio. Poi era tutto pronto per il venerdì. Un venerdì che non dimenticheremo mai». 


I RICORDI
A un anno di distanza ripercorriamo quelle ore con chi ha vissuto in prima persona l’inizio dell’emergenza. La testimonianza di Johnny Medé parte dalle ore 18, quando in paese si diffonde la voce: «C’è un caso di Coronavirus all’ospedale di Schiavonia. Un uomo di Vo’ si è contagiato». Sembrava solo una notizia da leggere nei giornali e ascoltare in tv, invece all’improvviso il “virus cinese” diventa l’incubo dei colli euganei. 
«Veniamo subito sommersi di telefonate: sono tutte persone che avevano prenotato per la serata, si dicono preoccupate e annullano il posto. Non ci stacchiamo dal telefono per due ore. Poi alle 8.20, poco prima di iniziare, io e mio papà ci guardiamo negli occhi». Uno sguardo che vale più di mille parole: «Chiudiamo». 


LE PAURE
Mentre gli altri locali notturni si godono gli ultimi sprazzi di festa, il Black Panther di Vo’ decreta già lo stop forzato. Nei quindici giorni seguenti, quando il paese diventa “zona rossa”, la musica delle casse lascia spazio solo alla suoneria del cellulare. «Ci arrivano mille telefonate. Chiamano tutti, perfino da Modena e da Mantova visto che avevamo dei gruppi che venivano apposta a fare serate a tema nel nostro locale. Ci chiedono cosa devono fare perché temono di essersi contagiati. E noi di risposte possiamo darne ben poche»


I PROGETTI
Il resto è una storia simile a quella di tutti gli altri locali. «Non abbiamo mai più riaperto, nemmeno un minuto. Ora temo che si andrà direttamente al 2022. Vengo spesso qui per dare aria alle sale e far partire gli impianti audio e luci, altrimenti si blocca tutto. È come una macchina che ha bisogno di essere usata. Quando potremo ripartire dovremo farlo al meglio. Dovrà essere tutto scintillante, mica potrà esserci la muffa. Per questo ogni 20 giorni facciamo le pulizie di fondo». 
Intanto però bisogna darsi da fare anche in altri modi. «Purtroppo i nostri sei dipendenti a tempo determinato non hanno potuto rinnovare il contratto e ora stanno percependo l’indennità di disoccupazione - prosegue il quarantaduenne - Io intanto sto dando una mano ad alcuni amici con l’imbottigliamento del vino. Bisogna rimboccarsi le maniche, perdiamo il 100% degli incassi ma intanto alcune spese fisse restano. So che qualcuno ha provato a riconvertirsi nella ristorazione però non è facile. Cosa devo fare? Investire per poi magari trovarmi comunque chiuso?». 
Ma cos’è stato, per chi lavorava proprio in centro a Vo’, un anno con la pandemia? «A questo virus bisogna stare attentissimi, punto e basta. Ho due cognate infermiere, una di queste lavora a Schiavonia. So cosa significa. Io ho due bimbi ed esco di casa il meno possibile». Aspetta che passi l’emergenza e intanto sogna di tornare in pista. Letteralmente. 

 

Ultimo aggiornamento: 08:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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