La sorella Monia: «Aycha, dopo avere denunciato il marito non aveva più paura»

Martedì 15 Dicembre 2020 di Marco Aldighieri
CADONEGHE L'abitazione dove è stata uccisa dal marito la giovane mamma marocchina

CADONGHE - «Aycha, aveva confidato a una nostra zia che dopo avere denunciato il marito non aveva più paura». La giovane mamma marocchina, uccisa a coltellate dal compagno la sera del 24 novembre, era sicura di ricevere aiuto ma così non è stato. Un particolare emerso dalla deposizione della sorella Monia, rilasciata ai carabinieri della stazione di Cadoneghe la mattina del 4 dicembre coordinati dal pubblico ministero Marco Brusegan titolare delle indagini. Insieme a lei è stata sentita anche la mamma Fatna e il fratello Hicham difesi dalla legale Daniela Ghezzo. Tutti sono sicuri di come il magazziniere di 39 anni Abdelfettah Jennati, abbia premeditato il delitto di sua moglie. «Lui è molto furbo, non ha alcun problema mentale e poi diceva un sacco di bugie: sosteneva di avere un tumore e che presto sarebbe morto» hanno anche raccontato i parenti agli inquirenti. Intanto l’avvocato di Abdel, Fabio Targa, sta invece acquisendo una serie di cartelle cliniche per dimostrare come il suo assistito soffra di ansia e di depressione da tempo.
LA FAMIGLIA
Monia, sorella di Aycha, ha detto ai militari di averla sentita al telefono anche il giorno della tragedia, così come la mamma. «È stato solo all’inizio del mese di ottobre che mi ha confidato che era stressata dai comportamenti di gelosia del marito» ha dichiarato poi Monia agli investigatori sottolineando come Abdel seguisse Aycha in ogni suo movimento, impedendole di uscire con le amiche. Davanti agli inquirenti ha ripercorso quei momenti drammatici, tanto da invitare la sorella a rifugiarsi insieme ai figli, già il 4 ottobre, nell’abitazione dell’amica. Lei voleva troncare il rapporto e aveva già acquistato il biglietto aereo per raggiungere la sua famiglia a Caltanissetta in Sicilia. Monia ha poi messo nero su bianco come Aycha si aspettasse di ricevere una casa da parte dei Servizi sociali, ma questo non è avvenuto. Così, per proteggere i bambini, è stata costretta a lasciare l’abitazione della sua amica e a rientrare nell’appartamento di Cadoneghe. «Lui ha sempre fatto la vittima, lo faceva per impietosire mia sorella e tenersela vicina. Io non volevo che Aycha si sposasse con Abdel, non mi è mai piaciuto. Al loro matrimonio non sono andata» ha anche raccontato Monia ai carabinieri. 
Monia ha definito il magazziniere una persona molto altezzosa e che in più di una occasione avrebbe tradito sua sorella con altre donne marocchine. E poi quella delega per escludere Aycha dai soldi di famiglia. I parenti della giovane mamma hanno ricordato di come Abdel facesse amministrare i suoi risparmi a un fratello in Marocco, compresa una casa di sua proprietà. Ma le deposizioni dei parenti, diventano drammatiche quando hanno ricordato le minacce subite dalla 30enne. La mamma di Aycha, Fatna, ha dichiarato ai carabinieri del giorno in cui la sua amata figlia le disse: «Mi ha detto che mi ammazza con un coltello». E di quando Aycha ha sentito il marito parlare al telefono dicendo: «Un giorno o l’altro la ammazzo». Mamma e fratello hanno anche raccontato agli uomini dell’Arma, di come Aycha si sentisse spiata dalla telecamere acquistate dal marito attraverso Amazon. La madre di Aycha sarebbe stata anche perseguitata dal genero, appena lui è stato informato di essere stato querelato dalla moglie. «Quando ha saputo di essere stato denunciato da mia figlia, ha iniziato a chiamarmi in continuazione. Voleva che lo aiutassi a fare pace con Aycha. Ma era troppo insistente e ho bloccato il suo contatto telefonico e ho cancellato WhatsApp» ha dichiarato Fatna agli inquirenti. E infine quel dubbio: «Abdel due giorni prima di uccidere Aycha non si è recato al lavoro» hanno detto i parenti agli investigatori. Ai militari hanno pure ricordato come un paio di giorni dopo la morte di Aycha, molti uomini e donne marocchini su Facebook abbiano insultato la sua memoria, solo perchè voleva essere libera. Sono stati costretti a difenderla, grazie anche all’intervento sui social dell’amica che le aveva dato rifugio nella sua abitazione di Cadoneghe. 
LA DIFESA
L’avvocato Fabio Targa, difensore del magazziniere, intanto ha chieste e ottenuto dal centro di salute mentale di Lamezia Terme le cartelle cliniche del suo assistito.

Abdel, su richiesta del suo medico curante, è stato visitato in quattro occasioni: il 25 gennaio 2016, il 22 agosto 2016, il 5 marzo 2018 e 21 aprile 2018. La diagnosi dell’accoglienza era: “Stato ansioso non specificato. Riferisce di accusare disturbi di natura ansiosa da qualche anno, ma negli ultimi mesi si è acutizzata la sintomatologia ansiosa-depressiva caratterizzata da ansia generalizzata, umore deflesso, facile irritabilità”. Il 39enne era stato sottoposto a esami clinici e gli sono stati somministrati dei farmaci. La visita più importante è forse quella del 5 marzo del 2018 quando, dopo un paio di anni di assenza dal centro di salute mentale, è stato sottoposto a una visita psichiatrica perchè lamentava: “Ansia con episodi di ansia e di panico”

Ultimo aggiornamento: 08:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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