Anziana uccisa nella rapina, badante a giudizio: ad agire fu il fidanzato

Giovedì 7 Febbraio 2019
Arianna Chinchio, l'accusata
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ESTE - Per l'accusa sarebbe lei, badante e collaboratrice domestica, la mente dell'efferata rapina poi sfociata nell'omicidio di Liliana Armellini, la 73enne trovata morta la mattina del 23 maggio 2016 al piano terra della sua abitazione di via Pilastro, a Este. Arianna Chinchio, 37enne di Este, sarà processata per omicidio volontario e rapina in concorso: accuse terribili che lo scorso settembre hanno portato alla condanna a 30 anni di carcere dell'ex fidanzato Michele Bonaldo, il 38enne di Casale di Scodosia ritenuto l'esecutore materiale del delitto. Ma secondo la Procura di Rovigo Bonaldo sarebbe stato soltanto il braccio di un piano messo a punto dalla donna, accusata di aver agevolato il killer nel compiere il delitto, avendolo fatto entrare, in un'occasione precedente, nella casa in cui Liliana viveva insieme alla sorella disabile Vittorina, che oggi ha 78 anni. La badante gli avrebbe fornito anche indicazioni utili sul nascondiglio in cui le due anziane custodivano il denaro e i gioielli.
 
Alla luce di queste accuse, ieri mattina il gup Silvia Varotto del Tribunale di Rovigo ha rinviato a giudizio la 37enne atestina, che il prossimo 7 maggio dovrà comparire di fronte alla Corte d'Assise. A difenderla sarà l'avvocato Roberta Cerchiaro del foro di Padova. Arianna Chinchio, a differenza dell'ormai ex fidanzato, non ha scelto il rito abbreviato ma ha deciso di affrontare il dibattimento a testa alta: «Non ho ammazzato nessuno, non sono stata la mandante né della rapina, né dell'omicidio afferma e voglio uscire pulita da questa storia. Voglio che si sappia che io non c'entro nulla». La mattina del 23 maggio del 2016 era stata proprio lei a trovare il corpo esanime di Liliana Armellini, con le caviglie legate con lo scotch. L'anziana era stata colpita al volto e al corpo con una raffica di pugni per costringerla a rivelare il nascondiglio in cui teneva 10mila euro. L'escalation di violenza si era conclusa con il soffocamento di Liliana, mentre il suo assassino era riuscito a rubare soltanto mille euro. Alla fidanzata aveva fatto credere di essere a casa, chiedendo al cugino minorenne di inviarle messaggi a orari stabiliti. E se il falso alibi di lui era stato facilmente smontato dai carabinieri, quello di lei sembra inattaccabile: la sera dell'omicidio, infatti, la donna sarebbe rimasta a casa insieme ai genitori e al figlio. Né durante gli interrogatori, né durante il processo Bonaldo ha mai lasciato intendere che la donna gli avesse fornito informazioni utili a mettere a segno il colpo o addirittura gli avesse commissionato la rapina. E del resto il rinvio a giudizio non è frutto di ulteriori indagini. «Il capo di imputazione è la fotocopia di quello di Bonaldo afferma il difensore Roberta Cerchiaro, convinta della fragilità dell'impianto accusatorio il movente della rapina mi sembra assurdo: che interesse avrebbe avuto la mia assistita a uccidere il proprio datore di lavoro? Se proprio avesse voluto derubare le due sorelle, avendo accesso alla loro casa avrebbe potuto agire in modo più discreto, per esempio facendo sparire piccole somme un po' per volta. Comunque contiamo di dimostrare la sua totale estraneità ai fatti in sede di dibattimento». Vittorina, la sorella della vittima, stavolta non si è costituita parte civile. «Evidentemente neppure lei crede alle accuse», conclude l'avvocato.
Maria Elena Pattaro
Ultimo aggiornamento: 11:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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