Crisanti, chi è il virologo esperto di Coronavirus? «Io, virologo un po' pazzo con la passione per l'arte»

Venerdì 1 Maggio 2020 di Angela Pederiva
Crisanti, chi è il professore esperto di Coronavirus? «Io, virologo un po' pazzo con la passione per l'arte»
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Il governatore Luca Zaia l'ha incensato anche ieri: «Il prof è un faro per noi». Ma chi è davvero «l'uomo dei tamponi», definizione in cui peraltro il diretto interessato dice di non riconoscersi, preferendo descriversi piuttosto come «un pazzo arrivato dall'Inghilterra»? Ritratto di Andrea Crisanti, il direttore dell'unità operativa direttore dell'unità operativa complessa di Microbiologia e Virologia dell'Azienda Ospedaliera di Padova, nonché l'automobilista che gira per la città del Santo al volante di una vettura elettrica con la guida a destra: «Non le dico nelle rotatorie...».

MA QUALE INFLUENCER
Un colloquio con il professor Crisanti, 65 anni, romano de Roma («la mia famiglia tifa giallorosso, ma sul calcio io sono agnostico»), un figlio studente di Fisica a Cambridge («il vero genio è Giulio») e una moglie medico a Londra («Nicoletta è capo dipartimento di un ospedale»), è una continua sfida fra il suo WhatsApp e la sua Tesla: «Scusi se cade la linea, questa macchina ragiona per conto suo». Un po' come lui: «Sono un timido fondamentalmente, arrivo all'intervista già disturbato. Sono totalmente a-social, non sono iscritto a nulla, non leggo alcun articolo che mi riguarda e non vedo nessuno dei programmi a cui ho partecipato. Meglio restare inconsapevole». Ma come, manco un tweet in un tempo in cui i virologi sembrano diventati i nuovi influencer? «Maddeché! Sui miei colleghi non mi pronuncio, parlo per me e dico che sono io il primo a non voler essere influenzato dagli altri. Voglio rimanere me stesso, del resto non mi importa».

LA CARRIERA
Dopo la laurea in Medicina all'Università La Sapienza, il triennio di specializzazione in Immunologia e Biotecnologia a Basilea. Per altri tre anni ricercatore di Biologia molecolare a Heidelberg, poi un quarto di secolo all'Imperial College di Londra, di cui diventa coordinatore del corso in Parassitologia molecolare e cellulare. Questo gli comporta un lungo contenzioso con l'Ateneo di Perugia, che gli contesta il doppio incarico di docenza. «Ma i fatti mi hanno dato ragione: l'ultima sentenza li ha distrutti. Dopo quella vicenda avevo perplessità a tornare in Italia, ma devo dire che l'Università di Padova è un altro mondo».

LE ZANZARE
Il suo approdo al Bo alla fine del 2017, insieme ad una pattuglia di talenti italiani sparpagliati in giro per il globo, viene salutato come «il rientro dei cervelli». L'incarico è prestigioso: subentrare al professor Giorgio Palù, allora pensionando signore della virologia europea, al vertice di un laboratorio che è centro di riferimento per la Regione. Il parassitologo giusto nel posto giusto: in un Veneto alle prese con il problema del virus West Nile, ecco lo scienziato delle zanzare: «Quelle geneticamente modificate per combattere la malaria, a me e ai miei collaboratori hanno dato soddisfazioni enormi, tra un paio di settimane uscirà il nostro paper su Nature». Passano poco più di due anni così: spiccata notorietà internazionale e completo anonimato locale. Almeno fino al 21 febbraio, quando esplode l'emergenza Coronavirus. 

LA BUFERA
Ma non solo quella: scoppia pure la bufera politica. L'indomani Jacopo Berti, capogruppo del Movimento 5 Stelle, svela un carteggio risalente a dieci giorni prima, in cui il direttore generale regionale Domenico Mantoan chiede conto a Crisanti (ma soprattutto, sul piano erariale, al dg aziendale Luciano Flor) delle sue dichiarazioni sull'opportunità di sottoporre a tampone tutti i soggetti tornati dalla Cina, anche se asintomatici, ottenendo in risposta rassicurazioni sul rispetto delle prescrizioni venete e ministeriali, anche se le polemiche mediatiche continuano per settimane. La linea della Prevenzione regionale, datata 30 gennaio, è di testare a tappeto i contatti dei casi positivi. Così, quando a fine febbraio l'Organizzazione mondiale della sanità attacca il Veneto per quello che ritiene un azzardo, Crisanti solidarizza pubblicamente con Zaia e avalla scientificamente il modello Vo'. Da allora il governatore chiama il professore «l'uomo dei tamponi», legittimandolo «per legittima autodifesa» secondo i maligni, ma tant'è.

LA BUROCRAZIA
Ripensandoci a due mesi di distanza, Crisanti è sereno: «Penso che il Veneto, come il resto d'Italia, nella fase iniziale sia stato vittima di direttive completamente sbagliate e di rigidità burocratiche incomprensibili. Almeno per uno come me, una specie di pazzo arrivato dall'Inghilterra, abituato allo stile anglosassone per cui conta la sostanza, non la forma. Sono un po' maldestro, inconsapevole dei nemici che mi faccio. Anche quando a inizio aprile ho criticato l'Oms, per la sua posizione limitata ai sintomatici, non ci ho pensato un attimo. Se ho imparato una cosa in Gran Bretagna, la più importante nella scienza, è che non bisogna mai avere paura della verità. Invece qui ho visto tanta confusione, anche nella comunità scientifica».

LA RIAPERTURA
Pure sul tema della riapertura. «È un rischio a cui si aggiunge il fatto che non c'è nessuna analisi del rischio, o perlomeno questa non viene condivisa. Temporeggiare significa andare a tentoni, invece serve quello che noi scienziati definiamo il razionale. I barbieri sono stati ritenuti un rischio, ma in base a una percezione emotiva o a un calcolo? E qual è? E cosa cambierebbe il 1° giugno rispetto al 4 maggio? Da questo punto di vista trovo molto più condivisibile l'approccio del rischio accettabile sostenuto da Zaia, anche sulla base di un fattore di mitigazione qual è il gigantesco aumento dei tamponi registrato in Veneto: si mettono in sicurezza i cittadini, si parte e si vede come va, in caso chiudendo di nuovo. Mi sembra un ragionamento lineare, da parte di un politico che si confronta con i tecnici, lo spiega ai cittadini e se ne assume la responsabilità». 

LA PITTURA
Crisanti invece è uno scienziato. E, a sorpresa, pure un esperto di pittura settecentesca. «Ho scoperto di avere una dote particolare: identifico in un quadro particolari che altri non vedono. È un'attività molto eccitante, del resto legata all'osservazione scientifica, che mi ha portato anche a fare il consulente nel riconoscere i falsi e nel fare le attribuzioni. Ho dovuto smettere perché ormai rischiava di diventare un secondo lavoro, ma mi è rimasta la passione. Quanto mi piacerebbe, una volta finita questa emergenza, poter fare come quella vecchietta che vicino a Parigi ha trovato casualmente in casa il Cristo deriso di Cimabue...». Prima però il professore potrebbe diventare, sulla spinta popolare, cittadino onorario di Vo'. «Ne sarei orgoglioso. Dalla metropoli al paesino? Come disse Cesare attraversando la Gallia, al suo generale che commentava con disprezzo i villaggi attorno: meglio primo fra gli Allobrogi, che secondo fra i Romani».
 

Ultimo aggiornamento: 3 Maggio, 21:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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