Il Covid si porta via Adriano, anima e cantore del Museo della Navigazione

Sabato 6 Marzo 2021 di Massimo Zilio
Adriano Baezzato

PADOVA Il Covid si è portato via uno degli animatori e memoria storica del Museo della Navigazione Fluviale di Battaglia, Adriano Baezzato. Barcaro e fabbro, Baezzato aveva 85 anni ed era ricoverato da giorni in terapia intensiva a causa di complicazioni legate appunto al Covid-19, che si è accanito sui suoi polmoni indeboliti da anni di lavoro in condizioni difficili.

Prima della malattia è stato fino all'ultimo una delle anime del museo che racconta l'epopea dei tanti, che fino alla metà del secolo scorso vivevano grazie ai viaggi sul fiume dall'interno della pianura verso il mare.

Un cantore che non perdeva l'occasione di completare la visita di turisti e curiosi con i suoi racconti di un periodo storico non troppo lontano, di cui era stato però uno degli ultimi a vivere in prima persona. «Ci è stato portato via un amico e una persona insostituibile come testimone diretto dell'epoca dei burci - spiega Maurizio Ulliana, presidente dell'associazione Traditional Venetian Boats e direttore del Museo della Navigazione Fluviale di Battaglia - Era la nostra Guida principale. Nonostante gli ultra ottant'anni, veniva al Museo tutti i giorni. Una perdita, grave, per noi, e soprattutto per la cultura. Le nostre giovani guide si sono formate anche grazie a lui, che le ha istruite instancabilmente. Considero una perdita anche per le Meraviglie Euganee, perché Adriano è espressione del territorio, delle sue bellezze, e ne era il cantore genuino, stante la diretta esperienze di vita vissuta. La manutenzione delle paline de casada o di palazzo (dette erroneamente briccole) a Villa Valsanzibio è stata opera sua».

Nato il 23 giugno del 1936, da giovane si divide tra la passione per le barche e quella per il ferro battuto, che lo seguiranno per tutta la vita che lui stesso racconta così in una serie di interviste per il sito del Museo della Navigazione Fluviale: «Sono nato, penultimo di otto fratelli e sorelle, vicino lo Squero Nicoletti al Bassanello. Mio padre era un barcarolo di professione, portava con sé mia sorella maggiore mentre io giocavo nei paraggi. All'epoca non esistevano le ferramenta, costruivo chiodi con le mie mani, erano i giochi di una volta. A dieci anni ho dovuto prendere una decisione: diventare barcarolo seguendo le orme di mio padre o coltivare la passione per il ferro battuto. Ho scelto di intraprendere la seconda strada, lavorando allo Squero Nicoletti fino all'età di quattordici anni. Successivamente entrai nell'officina Gatto a Santa Croce, perché il capo era un gran maestro nell'arte del ferro battuto, e ottenni ben presto il tesserino di specializzazione come saldatore. Dopo dieci anni di servizio dove lavoravo anche dodici ore al giorno sette giorni su sette, a ventitré decisi di lasciare l'azienda e prendermi una settimana di meritato riposo. Il primo giorno di ferie però, venni contattato dal fratello del direttore dell'azienda dove mi ero licenziato, il quale mi propose di presentarmi il giorno dopo per un colloquio nella sua officina di serramenti a Chiesanuova. Iniziai a lavorare il giorno stesso, e nel frattempo, dopo quasi sette anni di conoscenza sposai la mia amata Evelina nel 1960». La sua arte e la sua manualità lo hanno portato a lavorare non solo in tutto il padovano e il Veneto, ma anche in Piemonte e in Puglia, dove è rimasto diversi anni, e in Croazia. Ha insegnato a lavorare il ferro anche nelle scuole padovane finchè non è arrivata, nel 1992, la pensione, che però non lo ha visto solo riposare, ma spesso al lavoro nelle vigne di Albignasego. In tanti però hanno continuato a chiedere le sue mani per delle creazioni uniche: «Ho nel cuore un lampadario a 36 braccia per la sala da pranzo del Professor Simone (ex primario di Chirurgia presso l'ospedale di Padova), uomo che stimavo molto» confessava. 

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