Covid, agricoltore dimesso dopo 3 mesi e 5 reparti: «Esco da un incubo»

Martedì 29 Settembre 2020 di Maria Elena Pattaro
l'ospedale di Padova
BORGO VENETO «Preferirei dimenticare ma sarà impossibile». A dare la misura di quanto sia stata lunga e difficile la sua lotta contro il coronavirus sono i numeri: 84 giorni di ricovero ospedaliero (quasi tre mesi) di cui 19 intubato in Terapia intensiva, e 15 chili in meno. «Non ho mai avuto paura di morire, anzi ce l'ho sempre messa tutta per uscirne. Mi sento ancora un po' debole ma la voglia di vivere è tanta». Per il 58enne agricoltore di Borgo Veneto l'incubo è finito giovedì scorso, quando finalmente è tornato a casa, accolto dalle lacrime e dagli abbracci della sua famiglia. Ma anche dai messaggi di bentornato dei tanti concittadini, sindaco compreso, preoccupati per le sue sorti.
I CONTAGI
A inizio luglio, la notizia del suo contagio era stata vissuta con apprensione in paese, dove era scattato il contact tracing dell'Ulss 6 Euganea per individuare eventuali altri casi positivi. Oltre a quello della compagna, di 58 anni e della mamma, di 88. L'intera famiglia, composta anche dai due figli di lei di 35 e 36 anni era finita in isolamento. Il 3 luglio è una data che l'imprenditore agricolo non dimenticherà tanto facilmente perché proprio quel pomeriggio gli è arrivato l'esito del tampone: positivo. La febbre a 39 che lo tormentava da una settimana nonostante gli antipiretici, e quel senso di oppressione al petto non erano una semplice tracheite come si sospettava all'inizio, ma sintomi del Covid-19. La sua situazione si è aggravata nel giro di poche ore, tanto da renderne necessario il ricovero. «A Schiavonia ci sono rimasto un paio d'ore. Poi via in ambulanza a sirene spiegate: mi hanno trasferito a Padova, nel reparto di Malattie infettive perché i polmoni erano compromessi» racconta l'uomo. Per lui respirare era diventato sempre più faticoso, tanto da richiedere un secondo trasferimento, in Terapia intensiva. «I medici mi hanno detto: Dobbiamo farti dormire. Sono queste le ultime parole che ricordo, poi solo sogni». Per 19 giorni.
LE SENSAZIONI
«Manco ghe ne parlo, mejo stao confessa il 58enne .
Era come vivere in un altro mondo e al risveglio mescolavo la realtà ai ricordi di quello che avevo sognato. Mi sentivo confuso e i primi giorni non riuscivo a mangiare da solo né ad alzarmi dal letto». «Jero come on saco de patate aggiunge scherzandoci su, adesso che il peggio è passato ma mi confortava il fatto che ogni giorno c'era qualche piccolo miglioramento». I cambi di reparto ne erano una conferma: Terapia subintensiva prima, Malattie infettive poi e infine Riabilitazione a Montagnana. «Ho ricominciato ad alzarmi dal letto, a farmi la barba, a camminare, sotto l'occhio vigile dei fisioterapisti e degli altri medici che mi seguivano racconta . Anzi voglio ringraziarli davvero di cuore perché mi sono sempre stati vicini. È stata dura, non solo fisicamente ma anche psicologicamente: tutti quei giorni lontano dagli affetti più cari. C'erano le videochiamate e a Montagnana anche le visite su appuntamento ma non vedevo l'ora di tornare a casa». Su come e da chi abbia preso il virus resta un punto di domanda. «Forse da qualcuno venuto in azienda ipotizza l'imprenditore . Noi avevamo ridotto al minimo la vita sociale: niente bar, ristoranti, al supermercato ci andavano i figli una volta a settimana». Il 58enne sta ancora facendo i conti con un po' di debolezza muscolare ma cammina, guida e da qualche giorno è tornato in magazzino. «Bisogna pensare anche all'attività afferma l'agricoltore, la cui azienda è specializzata nei prodotti da orto . Visto che anche i figli sono rimasti in isolamento per due settimane, i lavori si sono fermati». Paura di ammalarsi di nuovo? «Un po' sì. Temo che il vaccino non arrivi a breve e dei negazionisti penso che parlino così solo perché loro il virus non l'hanno preso». 
Ultimo aggiornamento: 10:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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