Andrea Crisanti: «Se a Schiavonia avessimo fatto come ad Alzano, sarebbe stata una strage»

Martedì 23 Giugno 2020 di Angela Pederiva
Andrea Crisanti: «Se a Schiavonia avessimo fatto come ad Alzano, sarebbe stata una strage»
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Ore 8.30, in diretta su Rai3: «Non ho ancora firmato nulla, bisogna verificare che io abbia le competenze giuste, c'è un appuntamento in settimana per definirlo». Ore 12, all'arrivo a Bergamo: «Spero di fare bene anche qui, non so se sarò in grado». Ore 14, all'uscita dalla Procura: «Mi sono preso novanta giorni di tempo per consegnare i risultati». Ore 16, al telefono con Il Gazzettino: «Sì, ho accettato l'incarico, ma non credo che i veneti mi perderanno, anche se la Regione forse non ne sarebbe così dispiaciuta...». Dopo quattro mesi da uomo dei tamponi in Veneto, da ieri Andrea Crisanti è anche il consulente della magistratura sull'ecatombe in Lombardia, fra la mancata attivazione della zona rossa in Val Seriana e la pasticciata riapertura del Pronto Soccorso all'ospedale Pesenti Fenaroli.


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«Se a Schiavonia avessimo fatto come ad Alzano, sarebbe stata una strage», dice il direttore dell'unità operativa di Microbiologia e Virologia dell'Azienda Ospedaliera di Padova, alludendo alla famosa e convulsa sera del 21 febbraio in cui il governatore Luca Zaia dispose lo svuotamento del Madre Teresa di Calcutta, poi diventato Covid Hospital.
LO SCONTROChissà se quella prima persona plurale, avessimo fatto, verrà letta come un indebito tentativo di rivendicazione del merito o piuttosto come un'innocua sottolineatura di appartenenza alla squadra. Durante il rientro in autostrada, Crisanti mostra di voler evitare un nuovo scontro: «I miei rapporti con la Regione? Normali», assicura. Il fine settimana è stato però contrassegnato dall'ennesimo battibecco, quello con il coordinatore delle Microbiologie venete Roberto Rigoli, sull'infettività del virus («Sono solo chiacchiere»). Il parassitologo ribadisce: «Per fare affermazioni di valore scientifico ci vogliono dati, perché la scienza è misura. Spero che mi faranno vedere quei dati e che condivideranno con me qualcosa, nello spirito della comunità scientifica. Non si fanno annunci in conferenza stampa».

Polemiche a parte, il professore spiega che il confronto con Alzano vale per Schiavonia ma pure per Padova: «Chiaramente un'infezione che si moltiplica in ospedale è molto difficile da controllare, perché all'interno ci sono i malati e dunque si rischiano molti morti. La misura presa a Schiavonia è stata sicuramente corretta, ispirata a buon senso e cautela. Ma ci sarebbe voluto poco a replicare la strage di Bergamo anche a Padova, una struttura frequentata da ventimila persone al giorno, se non fossero state messe in pratica tutte le misure volte ad impedire che il focolaio si espandesse».

 

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I QUESITI
Dal procuratore facente funzione Maria Cristina Rota, il consulente Crisanti ha ricevuto quattro quesiti a cui dare risposta. Spiega: «Sicuramente è una cosa abbastanza impegnativa, ma mi avvarrò della collaborazione di esperti di statistica. Sapendo di poter contare su modelli matematici, mi sento un po' più tranquillo». Del resto «sono i numeri a parlare», nell'evidenziare le differenze di approccio fra le diverse Regioni: «In Veneto e Lombardia siamo partiti con quasi lo stesso numero di casi. La differenza è che per una settimana, mentre noi isolavamo capillarmente tutti i casi positivi, in Lombardia pensavano a far ripartire Milano». In quei giorni, Vo' veniva tamponata a tappeto, in attesa di essere sottoposta allo screening sierologico di massa che ha evidenziato il ruolo cruciale degli asintomatici: «Si è visto che c'erano 150 persone infette al 22 febbraio. Se è vero che il virus vi è entrato nella terza settimana di gennaio, come è possibile che nessuno sia andato in ospedale fino al 20 febbraio? Come è stato trasmesso, se non da chi non aveva sintomi?». 
 


LA CARICA VIRALE
Guai dunque ad abbassare la guardia, pure in questo inizio di estate, caratterizzato invece da una certa leggerezza su assembramenti e dispositivi. «Sembra che il virus sia sensibile al caldo afferma Crisanti e questo sicuramente ci aiuta. Quindi ci possiamo permettere questi comportamenti adesso, per la sensibilità del virus alla temperatura, ma quegli stessi comportamenti non ci saranno perdonati a ottobre-novembre». Ancora una volta, perciò, lo scienziato esclude un indebolimento del virus dovuto ad una mutazione genetica («Se muta da noi, allora dovrebbe mutare anche in Brasile, in America e in Germania») e propende piuttosto per un abbassamento della carica virale («Abbiamo mascherina e distanza che la riducono»). Su questi temi, però, la comunità scientifica continua a dividersi, come dimostra anche il cambio di linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità sui tamponi, per cui non ne servono più due negativi per dichiarare una guarigione, ma sarebbero sufficienti tre giorni senza sintomi. «Non so su quale base abbiano fatto questa dichiarazione: in questa epidemia l'Oms non ha brillato per tempestività ed esattezza», conclude Crisanti. Ecco, almeno su questo il professore sarà d'accordo con Zaia, secondo il quale si tratta di «una sparata».
 

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Ultimo aggiornamento: 24 Giugno, 10:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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