Nell'Ospedale di Schiavonia la trincea della guerra contro il Coronavirus Foto

Giovedì 9 Aprile 2020 di Angela Pederiva
Nell'Ospedale di Schiavonia la trincea della guerra contro il Coronavirus

MONSELICE (PADOVA) Viaggio nella trincea del Coronavirus. Qui dove una sera tutto è cominciato e, chissà quando, un mattino finirà, ma dove intanto bisogna continuare a combattere. Sulla mappa del contagio, la linea del fronte è segnata come Ospedali Riuniti Padova Sud Madre Teresa di Calcutta, ma per tutti è semplicemente Schiavonia, località di Monselice, nella Bassa Padovana: ecco il primo Covid Hospital del Veneto, un modello per gli altri dieci che si sono rapidamente susseguiti in tutte le province, «il fiore all'occhiello della sanità regionale» come rimarca Domenico Scibetta, direttore generale dell'Ulss 6 Euganea, ingentilendo l'immagine bellica per cui da cinquanta giorni a questa parte le strutture sanitarie sono diventate gli avamposti civili della guerra mondiale al nemico invisibile.

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LA RIORGANIZZAZIONE
Per poco più di cinque anni l'avveniristico nosocomio di Schiavonia è stato un'astronave da 156 milioni di euro, planata su 9 ettari di verde, con i suoi 75.000 metri quadri di superficie coperta. «Poi in due giorni l'abbiamo chiuso, svuotato, sanificato, ripensato», ricorda Patrizia Benini, direttore sanitario dell'Ulss 6, rapida ed efficace come quelle quarantott'ore di tregenda, a cui è seguita la riorganizzazione da 3 milioni di euro culminata nel riconoscimento come centro di riferimento per il Covid-19. Gli usuali 434 posti letto sono stati ridotti a 302, tutti per pazienti contagiati (o con sintomi) da Coronavirus: 200 di Malattie Infettive, 50 di Terapia Intensiva e altri 52 di Pneumologia Semi-intensiva. 

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L'AERONAUTICA
La novità di oggi riguarda proprio quest'ultima, stazione intermedia nella via crucis dei ricoverati. Nel bianco abbacinante del blocco plurispecialistico, di cui per il momento restano solo le insegne, si stagliano ora 24 camere trasparenti. «Sono le tende di biocontenimento, dove i pazienti in Semi-intensiva verranno isolati e trattati, con un ricambio d'aria di 32 volumi l'ora», sottolinea Domenico Montemurro, direttore dell'ospedale. Un'avanguardia veneta con tecnologia tutta vicentina, come illustra Andrea Novello della Omp Engineering di Dueville: «Siamo stati scelti perché lavoriamo già con l'Aeronautica Militare nella realizzazione di piattaforme per il trasporto aereo dei pazienti infetti da virus altamente contagiosi come Ebola. Si tratta di cellule a pressione negativa: l'aria viene immessa all'interno, depurata e reimmessa all'esterno». 

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Traduce la dottoressa Benini: «L'aria dell'esterno entra nella tenda, il paziente viene trattato e si crea un effetto aerosol, ma le goccioline prodotte vengono riassorbite attraverso i flussi e incanalate nei filtri ad altissima potenza, consentendo di reimmettere all'esterno aria pulita. Il risultato è un po' come essere in alta montagna, con un oggettivo vantaggio per il personale: è già scafandrato, ma così ha un'ulteriore garanzia di evitare il virus». 



I COLORI E LA MUSICA
I fiori colorati dipinti dagli infermieri su alcune pareti, la musica rilassante studiata dagli operatori per qualche reparto. Al di là dell'accampamento esterno, montato dalla Protezione Civile in quella prima notte di angoscia e tuttora pronto in caso di scongiurabile necessità, l'ottimismo è tangibile lungo i corridoi che conducono al blocco operatorio. O meglio, a quello che lo era, visto che gli interventi chirurgici sono stati sospesi per ricavare anche qui lo spazio necessario ad allestire 38 postazioni di Terapia Intensiva in più, rispetto alle 12 che c'erano fino a un mese fa. 

Nella recovery room, la stanza del risveglio in cui prima i degenti usciti dalle sale operatorie venivano trattenuti in osservazione, adesso i malati di Covid-19 vengono addormentati. «Arrivano qui ancora coscienti spiega con delicatezza Fabio Baratto, primario di Anestesia e Rianimazione ma hanno bisogno di essere intubati. Così noi li sediamo, una quarantina finora, cambiando loro posizione a intervalli regolari: ora proni, ora supini, ne traggono grande beneficio. I pazienti restano qui mediamente tre settimane: per due e mezza dormono, poi negli ultimi due o tre giorni si risvegliano e si riprendono, senza ricordare nulla di quanto è successo nel frattempo. La prima cosa che ci chiedono? Quando torneranno a casa... Allora cerchiamo di confortarli attraverso i tablet, mettendoli in comunicazione con i familiari: anche solo sentire le loro voci e vedere i loro occhi li aiuta a rimettersi in forze». 

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IL DOLORE
Purtroppo non va sempre così, finora 52 malati sono morti all'ospedale di Schiavonia. Un immane dolore appena alleviato dal numero dei guariti, 137 secondo l'ultimo bollettino. «Ad oggi abbiamo dimesso 7 pazienti dalla Terapia Intensiva confida il dottor Baratto e devo dire che è stato un sollievo. Nei primi quindici giorni era stato frustrante non veder alcun miglioramento, malgrado le terapie somministrate. Ma in questo mese e mezzo abbiamo capito che questo virus è così, molto contagioso e molto aggressivo. Per questo manteniamo allestite tutte le postazioni: se serve, in cinque minuti riaccendiamo tutto». 
Lo testimoniano gli scaffali nell'atrio, colmi di zoccoli e calzari, visiere disinfettate, dotazioni per la vestizione, pronti per essere indossati ancora una volta. «Le precauzioni sono fondamentali osserva il direttore sanitario Benini per contenere l'infezione nel personale. Fino a questo momento i numeri ci confortano. La sera del 21 febbraio abbiamo bloccato e tamponato tutti, trovando positivi 4 pazienti ma nessun dipendente. Poco dopo ce n'è stato uno, ma per motivi non correlati all'assistenza. Da quando siamo diventati Covid Hospital, abbiamo quindi rifatto altri due giri di tampone, in tutto 1.700. Le poche positività diagnosticate sono riconducibili al fatto che abbiamo dovuto mettere insieme lavoratori con esperienze anche organizzative diverse, arrivati in supporto pure da Cittadella, Camposampiero e Piove di Sacco».



LA RIAPERTURA
Su quegli ospedali è stata dirottata l'attività sospesa a Schiavonia, dove stati mantenuti solo Radiologia e Laboratorio Analisi a supporto dei contagiati dal Coronavirus, nonché Emodialisi e Psichiatria perché hanno accessi separati, alla pari del Pronto Soccorso che ha completamente rivisto la propria logistica. «In quelle prime giornate convulse racconta il direttore Roberta Volpin abbiamo anche tirato su dei muri in cartongesso, per dividere completamente l'area R1 considerata pulita e l'area R2 che chiamiamo sporca, perché è qui che arrivano i pazienti sospetti dopo aver fatto il pre-triage nella tenda esterna o a bordo dell'ambulanza. Prima o poi arriverà la riapertura all'attività ordinaria e allora ci basterà poco per tornare alla normalità». 

Ma intanto c'è ancora da combattere, come ricordano i disegni dei bambini, affissi su un pannello al piano di sopra per incoraggiare «i dottori e gli infermieri». L'iconico arcobaleno perché «andrà tutto bene», il sanitario «winner (vincente)» che sconfigge il virus «loser (perdente)». Mille colori e una sola parola: «Grazie».

Ultimo aggiornamento: 19:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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