Nevio Scala amarcord da Lozzo: «Quella Coppa Uefa in un calcio a dimensione umana»

Lunedì 4 Maggio 2020 di Pierpaolo Spettoli
Nevio Scala nei suoi vigneti di Lozzo Atestino
Il 3 maggio di 25 anni fa il Parma vinceva 1-0 la finale di andata di Coppa Uefa con la Juventus spianandosi la strada alla conquista del trofeo arrivata in virtù del pareggio 1-1 nella sfida di ritorno a San Siro. Artefice di quell’impresa fu Nevio Scala, che successivamente ha conquistato la Coppa Intercontinentale alla guida del Borussia Dortmund e lo scudetto ucraino con lo Shakhtar Donetsk. Senza dimenticare che anche da giocatore ha raggiunto traguardi prestigiosi, su tutti lo scudetto e la Coppa dei campioni con il Milan. 

«Ricordo il ritorno a San Siro con 85 mila juventini e cinquemila parmigiani. È stata una delle mie emozioni più grandi perché vincere con la Juventus nella finale di Coppa Uefa è stata un’impresa incredibile. Quando ha segnato Vialli ho detto: “Ahia”. Pensavo fosse difficile. Poi abbiamo pareggiato con Dino Baggio e anche se avessimo perso 2-1 avremmo vinto dato che la Juve doveva fare due gol, per cui in panchina ci siamo messi un po’ più tranquilli. Però sono state due gare dall’intensità incredibile». Va avanti. «Eravamo una bella squadra, avevamo già vinto la Coppa delle Coppe. Consapevoli però di non essere forti come Juventus, Milan e Inter. Ma avevamo costruito uno spogliatoio che è stato il nostro carburante più importante che ci ha portato a fare tutti quei risultati positivi nei sette anni di Parma». Il calciatore più forte di quel gruppo? «Mi vengono in mente Zola, Grun, Brolin, Asprilla, Minotti, ma vorrei nominare tutti i giocatori di quei sette anni. Anche i ragazzi che hanno giocato una-due partite come Fiore, che è stato poi al Padova, hanno dato un contributo straordinario sostituendo i titolari con grandissima dignità e successo».
SUL TETTO DEL MONDO
«La vittoria della Coppa Intercontinentale con il Borussia Dortmund è stata una soddisfazione bellissima perché stavo allenando una squadra con la pancia piena dato che aveva vinto due campionati consecutivi e la Coppa dei campioni con la Juventus. Anche se parlavo bene il tedesco visto che mia moglie è tedesca, la difficoltà che ho avuto è stata quella di motivare i miei giocatori nelle piccole partite di campionato quando andavamo a giocare a Wolfsburg piuttosto che a Leverkusen. Nelle grandi platee invece era facile essendo la squadra forte. Siamo arrivati anche in semifinale di Coppa dei Campioni perdendo con il Real Madrid che ha poi alzato il trofeo».
MISSIONE-UCRAINA
«Non posso non dire Parma e poi lo Shakhtar Donetsk. Non ci volevo andare nella maniera più assoluta, il presidente è venuto a prendermi con il suo aereo personale a Vienna, mi ha portato là e mi ha convinto. Per la prima volta nella loro storia abbiamo vinto il campionato, che era sempre ad appannaggio della Dinamo Kiev, e anche la Coppa. Ho fatto solo un anno perché il presidente voleva vincere subito la Coppa Uefa, purtroppo abbiamo perso in una gara sfortunata e l’allenatore è quello che paga. Ancora oggi però ho un rapporto con il presidente, tutti gli anni il 22 novembre mi manda gli auguri di compleanno e gli rispondo».
IL "NO" DI DEL PIERO
«Sono venuto a Padova a parlare con Del Piero. Volevo portarlo al Parma, invece lui mi ha detto: grazie mister, ma ho già firmato con la Juventus». Sui biancoscudati. «Non mi hanno mai avvicinato e non è nel mio Dna andare in cerca di sistemazione perché per fortuna sono sempre venuti gli altri da me. ll Padova non mi ha mai contattato purtroppo, lo dico perché mi sarebbe piaciuto. Però mai dire mai nella vita. Se qualcuno fosse intenzionato a servirsi delle mie conoscenze come è stato qualche anno fa a Parma, sono pronto a discutere in qualsiasi momento». Proprio nel 2016 dopo la sconfitta 4-1 al Tardini con i biancoscudati ha dato le dimissioni da presidente dei ducali. «Il giorno dopo abbiamo fatto il Cda e mi hanno detto: guarda presidente, abbiamo licenziato Apolloni. Allora ho risposto, siamo su scherzi a parte? Poi in un foglio di carta ho scritto grazie e arrivederci».
«Il calcio degli anni 90 mi piaceva molto perché era a dimensione umana, c’era più contatto tra allenatori, giocatori, società, e tifosi. Adesso è condizionato dal fattore economico e la gestione del sistema è più complicata. Basta vedere oggi: non ci si convince che la salute è la prima cosa al mondo e si spinge per riprendere a giocare quando la Francia ha chiuso il campionato».
LA QUARANTENA
«In questo periodo la lettura mi coinvolge molto. Sto leggendo un libro bellissimo che si chiama “La donna dalle mani di pioggia”. Leggo un po’ di tutto, dai romanzi ai saggi. Sono soddisfatto dei regali che mi hanno fatto i figli a Natale». Lavora sempre anche nell’azienda di famiglia. «Certo, anche se in questo momento bisogna stare molto attenti anche in agricoltura con distanziamenti, mascherine e guanti. I nostri operai sono sottoposti tutte le mattine a controlli, ci teniamo molto a osservare le regole perché non vogliamo incidenti visto che siamo un’azienda biologica e sana». «Sono nato da agricoltori, a nove anni guidavo i trattori e andavo in giro per la mia azienda a fare tantissime cose perchè era la mia passione. Mi sono detto: se il calcio mi aiuta, voglio fare l’agricoltore di un certo livello. Grazie al calcio abbiamo acquistato l’azienda e l’abbiamo ingrandita realizzando il sogno che avevo da bambino. Ora abbiamo circa 150 ettari di terreno». Dieci dei quali vigneti. «Facciamo un vino biologico che piace e anche in questo periodo cerchiamo di accontentare i clienti portandoglielo a casa. Abbiamo molto a cuore il mercato americano tra Stati Uniti e Canada, facciamo il nord Europa e un po’ Giappone». Vitigni di Garganega, Malvasia istriana e Bordolese a base di Merlot e Cabernet Franc. Su quest’ultimo. «Si chiama 999 per due motivi: il primo anno ne abbiamo prodotte 999 bottiglie, in più 999 era l’associazione culturale dei miei figli con i loro amici a Lozzo Atestino. Vogliamo che la gente beva vino sano e buono, per cui facciamo la raccolta manuale e dipendiamo sempre dalla natura».
Non solo vino però. «Abbiamo barbabietole, soia, canapa, girasole, tutto trasformato in azienda biologica. Da cinque anni nei nostri terreni non ci vanno veleni o concimi chimici. Se mette una mano dentro alla terra, trova i lombrichi ed è la più bella emozione che ho avuto qualche tempo fa. È un segnale che la terra è viva».
 
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