L'imprenditrice Liliana Carraro: «Tosse e febbre, anch'io contagiata dal coronavirus»

Lunedì 23 Marzo 2020 di Gabriele Pipia
Liliana Carraro
CAMPODARSEGO (PADOVA) - «Il decreto? Non arriva mai e allora abbiamo deciso noi. Per non saper né leggere né scrivere, stiamo tutti a casa». Liliana Carraro è la responsabile delle relazioni esterne della Antonio Carraro, colosso internazionale nella fabbricazione di trattori per l’agricoltura specializzata. Ieri sera fino a tarda ora è stata incollata al telefono con il fratello Marcello, amministratore delegato della società, e la decisione non è mai cambiata: «Se da Roma non si sbrigano ci muoviamo noi. Stiamo a casa per motivi di sicurezza, punto e basta». Oggi saranno al lavoro solamente 35 lavoratori su 490: i capi settore e il numero indispensabile di addetti per l’assistenza tecnica e nulla più. Abituata ad essere sempre e comunque in prima linea, Liliana però non ci sarà: «Ho contratto pure io il Coronavirus – racconta – e non so da chi posso averlo preso. È stata davvero una brutta settimana».
Liliana, partiamo dalle sue condizioni. Come sta?
«Meglio, per fortuna meglio. Tutto è iniziato martedì della scorsa settimana, quando ho avuto una strana febbre che non scendeva nemmeno con la tachipirina. A tutto ciò si sono aggiunti mal di testa e difficoltà a respirare, avevo costantemente il fiato corto. Mi sono subito rivolta al medico e dopo tre giorni mi è stato fatto il tampone, all’ospedale di Cittadella. Sono risultata positiva».
Conseguenze?
«Ora sto migliorando anche se continuo a tossire e cerco di stare attenta a tutto. Per fortuna credo di non aver contagiato nessuno perché da molti giorni ero già in smart working e le poche volte che ero uscita l’avevo fatto sempre con guanti e mascherina. Sono comunque in quarantena fino al primo aprile e dovrò ripetere due volte il tampone».
Mentre lei è in quarantena, la sua azienda deve ancora capire che fare.
«Noi dobbiamo ancora capire se la produzione di trattori è ritenuta o meno un’attività essenziale per il comparto dell’agricoltura. Forse l’officina sì e la produzione no? Non lo sappiamo».
Nel dubbio, chiudete.
«Sì, almeno per la giornata di domani (oggi, ndr). Sui 490 lavoratori che abbiamo, verranno solamente i capi-settore per una riunione, stando ovviamente a debita distanza, e i tecnici che si occupano delle manutenzioni. Il minimo indispensabile, meno del 10 per cento. Ne ho appena parlato con Mattia Gasparin, il nostro direttore della produzione. Resta aperto solamente il reparto dei ricambi e poi aspettiamo di capire se in giornata avremo delucidazioni. Gli ambienti ovviamente sono stati sanificati, tutto quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto. Da martedì si vedrà».
Intanto, però, siete critici.
«Capiamo il provvedimento perché la salute delle persone viene prima di tutto, ma è la comunicazione che non mi convince per nulla. Da imprenditrice ho bisogno di chiarezza, devo capire cosa ne sarà della mia azienda. Non posso ascoltare un discorso del premier al sabato sera e non avere ancora certezze la domenica pomeriggio».
Torniamo alla vostra azienda. Indipendentemente dai vari decreti, come siete organizzati?
«I reparti sono tutti contingentati e vi lavora un terzo del personale. Anche in mensa si entra a turno, rispettando determinate distanze. Noi siamo stati attenti fin da subito. Anzi, le dico la verità: ci aspettavamo di dover chiudere tutto già 15 giorni fa».
G.Pip.
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