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Covid, Crisanti: «Limitare la mobilità tra Regioni per proteggere i territori meno colpiti»

Nordest > Padova
Sabato 10 Ottobre 2020 di Graziella Melina
Covid, Crisanti: «Limitare la mobilità tra Regioni per proteggere i territori meno colpiti»
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Per impedire la diffusione dei focolai di Covid bisogna evitare gli spostamenti da una regione con più alto numero di contagi verso le regioni vicine. «E' un principio di assoluto buonsenso. Difficile essere in disaccordo», ribadisce l'epidemiologo Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Virologia e Microbiologia dell'Università-azienda ospedale di Padova, che mette in guardia: «Bisogna iniziare a ipotizzarlo soprattutto dove si nota un aumento crescente dei casi».

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Ritiene che sia una misura efficace?
«Sicuramente limitare la mobilità ha dei vantaggi, nel senso se in una regione il numero dei casi è fuori controllo, è chiaro che una restrizione dei movimenti fuori regione permette in qualche modo alle regioni vicine di eliminare il contatto con le persone positive».

 

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L'utilizzo dei mezzi di trasporto senza misure di contenimento adeguato, come è successo a marzo, va scongiurato?
«Certo. Ma secondo me oggi sono più problematici i trasporti dei treni pendolari, perché sono quelli dove c'è più affollamento. Il sistema va migliorato, quel tipo di assembramento che vediamo non è certo rassicurante».

 

È poi un controsenso rispetto a tutte le regole sul distanziamento previste invece negli altri luoghi.
«Esatto. Ma è il risultato di una mancata programmazione. Non si sono pianificate in tempo le capienze. Certo, bisogna ricordare che quei convogli erano già sovraccarichi prima dell'epidemia».

 

Bisogna mettere in conto qualche lockdown?
«Se un presidente di una Regione verificasse che ci sono molti casi penso che dovrebbe identificare le aree dove ci sono i contagiati e creare delle zone rosse proprio là. Prima di arrivare a chiudere un'intera Regione, è necessario usare una certa gradualità».

 

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Quali altre situazioni stanno accelerando i contagi?
«Tutte le situazioni che generano contatti non controllati sono fragilità per il controllo dell'epidemia. Al momento attuale, non sappiamo nemmeno quanto contribuiscano le scuole, per esempio. Tempo fa avevo ipotizzato che si sarebbe dovuto aprire un distretto scolastico prima degli altri per capire quale sarebbe stato l'impatto, così avremmo visto se aprire le scuole sarebbe stato un problema oppure no».

 

Secondo la ministra Azzolina, però, la scuola non ha avuto alcun impatto sull'aumento dei contagi generali.
«Purtroppo la ministra non ha i dati per fare questa affermazione. Si sarebbero dovuti fare 500-600 mila tamponi attraverso l'Italia in varie scuole di ordine e grado e poi ci avrebbe saputo dire la percentuale dei positivi. Ma questo non è stato fatto. Se parliamo solo dei sintomatici in classe, c'è da preoccuparsi, perché i bambini sintomatici sono una minoranza bassissima».

 

Intanto però con l'aumento della richiesta dei tamponi il sistema sta implodendo.
«Pure questo era stato ampiamente previsto. Ogni anno ci sono 6 milioni di casi di influenza nei bambini, concentrati in 3 mesi, significa che sono 2 milioni al mese, quindi circa 100 mila al giorno».

 

Rischiamo di non riuscire a controllare l'epidemia?
«Le operazioni di sorveglianza attiva hanno una logistica e tempi di impatto molto lunghi, e andavano fatte due tre mesi fa. Se avessimo potenziato la capacità di fare tamponi, oggi saremmo in grado di identificare e spegnere i focolai in maniera molto più efficace. Questa cosa non è stata fatta, ed è chiaro che il sistema è andato in crisi nel momento in cui è aumentata la trasmissione».

 

Ci aspetta un nuovo periodo di chiusura totale?
«Il lockdown diventa un problema politico più che di sanità pubblica, e quindi si farà di tutto per evitarlo. Ma spero che per evitarlo vengano identificate le misure giuste».

 

Ad esempio?
«Creerei una rete di laboratori centralizzata, identificherei delle linee guida precise per l'utilizzo dei vari test e cercherei sistematicamente di tracciare ogni singolo focolaio per eliminarlo. Più che in restrizioni delle persone investirei invece nel tracciamento».

 

 

Coronavirus, il dottor Rigoli: "Stabilire una soglia di carica virale, al di sotto si viene considerati negativi al Covid"

TREVISO - "Le persone positive al coronavirus con una carica virale molto bassa dovrebbero essere considerate negative. Il nodo è già stato condiviso da molti microbiologi. Auspichiamo che il ministero della Salute e l'Istituto superiore di sanità prendano posizione quanto prima, indicando una soglia sotto la quale inserire le persone tra i negativi, senza più bisogno di far scattare isolamenti, quarantene di 14 giorni e tamponi per tutti i contatti stretti".

Ultimo aggiornamento: 13:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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