PADOVA - Ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto veneto di Medicina molecolare scoprono un meccanismo fondamentale che apre nuove strade per combattere l’obesità. Insegnare al grasso a bruciare i grassi. È l'innovativa strategia per battere l'obesità illustrata in uno studio italiano pubblicato su «Nature Metabolism», condotto da Camilla Bean, appunto dell'Istituto veneto di medicina molecolare (Vimm), e coordinato da Luca Scorrano, professore di Biochimica del Dipartimento di biologia dell'Università di Padova, Principal Investigator del Vimm di cui è stato direttore scientifico. Per identificare la strategia necessaria a 'convincere' il grasso bianco a diventare beige i ricercatori sono partiti dall'analisi delle differenze tra il grasso bianco dei pazienti con obesità e quello degli individui normopeso. L'equipe coordinata da Scorrano ha scoperto nel grasso degli individui normopeso alti livelli di una proteina chiamata Opa1. Questa proteina dei mitocondri, le centrali energetiche della cellula, è essenziale per controllare il loro metabolismo e il loro ruolo come 'interruttori' del suicidio cellulare.
Bean ha confermato questi dati clinici in diversi modelli sperimentali di obesità: alti livelli di Opa1 proteggono dall'obesità e soprattutto dalle conseguenze deleterie della dieta iperlipidica sul metabolismo.
«Il nostro studio identifica tre insospettabili attori: Opa1, il “ciclo dell’urea” e il fumarato - spiega il prof Scorrano -. Confidiamo che da questa scoperta possano nascere innovative terapie che dicano al nostro corpo come bruciare i grassi, con lo scopo di contrastare l’epidemia di obesità che affligge il mondo occidentale.» Questo studio apre inoltre la via per una terapia efficace della “adiposopatia”, la malattia del tessuto adiposo che è una delle cause principali delle gravi complicanze cardiovascolari che affliggono i pazienti con obesità e diabete di tipo 2. Conferma, ancora una volta l’attenzione ed il livello dei ricercatori di base e clinici nel settore metabolico. Lo studio è stato finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e dalla European Foundation for the Study of Diabetes.