«Usare il pugno duro contro i tifosi razzisti, serve il daspo a vita»

Intervista a Claudio Gavillucci dopo i fischi a Moussa

Venerdì 19 Novembre 2021 di Gabriele Pipia
Claudio Gavillucci
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PADOVA - Da Sampdoria-Napoli a Granze-Tribano. Dal palcoscenico più importante al campetto della seconda categoria padovana. Claudio Gavillucci risponde al telefono da un bar di Londra e parte subito come un fiume pieno di rabbia: «Sono passati tre anni da quando ho preso la decisione di sospendere una partita di serie A e siamo ancora qui a leggere di razzismo nei campi da calcio. È cambiato pochissimo, siamo ancora davanti ad un problema enorme e non c'è stata la volontà di migliorare».
Il laziale Gavillucci, 600 partite in carriera di cui 50 in serie A, il 13 maggio 2018 è stato il secondo fischietto nella storia del calcio italiano a fermare momentaneamente una partita per razzismo.

L'anno seguente è stato improvvisamente tagliato dall'olimpo degli arbitri e ora si diverte nelle serie minori inglesi, facendo la spola tra Liverpool e Londra.


Nel Padovano un ventiduenne dilettante preso di mira con il gesto della scimmia. Che effetto le fa?
«Se stiamo ancora qui a parlare di queste cose significa che le regole non sono quelle giuste. Bisogna usare il pugno duro e lanciare un messaggio: chi commette questi reati, paga».


Come?
«Con il Daspo a vita. Questi non sono semplici sfottò da stadio: sono reati e vanno perseguiti con la massima durezza e convinzione. Il razzismo è un male che sta rovinando il calcio. In Inghilterra lo hanno capito e qui si arriva anche all'arresto».


Intanto il Tribano, la squadra padovana che domenica ha abbandonato il campo per solidarietà nei confronti del proprio giocatore di colore, è stata punita. Al posto del 3-3 del campo c'è uno 0-3 a tavolino.
«Io capisco perfettamente quella squadra: lanciare un messaggio all'intero mondo del calcio vale molto di più che vincere una partita di seconda categoria. Riguardo la scelta del giudice sportivo, sarebbe stato bello prevaricare il regolamento prendendo una nuova strada. Credo che nemmeno la squadra avversaria avrebbe fatto appello».


Sarebbe stato possibile?
«Mi rendo conto che non sia facile e che dal punto di vista legislativo ciò che ha scritto il giudice è impeccabile, ma stiamo parlando della seconda categoria: sport vero, senza interessi economici. L'obiettivo a questi livelli è insegnare qualcosa. Il giudice avrebbe potuto dire: Ok ragazzi, il regolamento direbbe questo. Ma noi siamo qui per insegnare...».


Tecnicamente il regolamento dà anche la possibilità all'arbitro di sospendere la partita per razzismo.
«Sì, ma tra i dilettanti non è come in serie A dove ci sono i responsabili per la sicurezza e strumenti decisamente più adatti a prendere decisioni simili. Spesso in questi campetti parliamo invece di arbitri giovanissimi che fanno quasi volontariato: quando va bene prendono insulti, quando va male le botte. Si trovano a gestire problemi immensamente più grandi di loro».


Cosa serve, quindi?
«Lavorare sulla formazione. Io ora arbitro in Inghilterra le partite della Lega nazionale dilettanti e dei settori giovani professionistici. Prima di ogni partita viene fatto un briefing con i due capitani, i dirigenti e l'addetto al pubblico esclusivamente sul tema del razzismo. Qui sono direttamente le società a vietare gli ingressi nei campi. Anche in Italia bisognerebbe dare maggior importanza alla responsabilità delle società, che spesso nel mondo dei dilettanti conoscono direttamente i propri tifosi».


È fiducioso?
«Nel comitato nazionale delll'Aia (l'associazione degli arbiri, ndr) si è insediato un bravissimo dirigente che viene dal Veneto, Antonio Zappi. È molto preparato e sensibile al tema del razzismo. Sono sicuro che si starà già prodigando».


Lei ha sospeso una partita per razzismo, ma negli anni successivi è passato dalla serie A ai campetti di dilettanti e ragazzini. Ha pagato per il suo coraggio?
«Ho scritto un libro per mettere in fila tutto quello che mi è successo, poi ognuno fa la sua valutazione».


Gavillucci saluta e sale in metropolitana: lo aspetta una partita dei dilettanti inglesi. Prima di mettere giù, sorride: «Sì, qui è davvero un altro mondo». Pensando a certe situazioni del calcio italiano, però, il suo è un sorriso amaro.

Ultimo aggiornamento: 22:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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