Casellati insultata sui social: «Uccidiamola». Ma non è reato: prosciolti. Il pm: «Rabbia politica, non minaccia reale»

I post sotto accusa pubblicati quando l’attuale ministro era presidente del Senato

Venerdì 10 Febbraio 2023 di Michela Allegri
Casellati insultata sui social: «Uccidiamola». Ma non è reato: prosciolti. Il pm: «Rabbia politica, non minaccia reale»

PADOVA - Dagli insulti alle minacce vere e proprie, il passo era stato breve: su Facebook e su Twitter, nel 2021, l’allora presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, attuale ministro per le riforme istituzionali nel Governo Meloni, era stata travolta da una campagna di odio violenta. Un’escalation che l’aveva convinta a sporgere denuncia, quando il tenore dei messaggi era diventato allarmante: «Ammazziamo la Casellati», «voglio uccidere la Casellati», si leggeva in alcuni post. Per la Procura di Roma, e anche per un giudice, però, non si tratta di un reato: il pubblico ministero ha chiesto e ottenuto l’archiviazione dell’inchiesta aperta con l’ipotesi di minaccia aggravata.

Il motivo? Non si tratterebbe di minacce reali, ma, piuttosto, dell’espressione colorita di una rabbia politica, nei confronti delle istituzioni. Una rabbia, peraltro, poco concreta, espressa tramite i social network e, quindi, a distanza. Gli inquirenti ritengono che senza l’aiuto del suo staff, difficilmente la Casellati si sarebbe accorta della situazione e di quelle esternazioni violente. Da qui la decisione di procedere con l’archiviazione nei confronti dei due indagati, uno di 64 e uno di 44 anni. E la decisione ora farà molto discutere, vista la campagna contro l’odio che invade i social. 

I POST

La richiesta, avanzata dal pm Erminio Amelio, è stata accolta dal gip Paolo Scotto Di Luzio, che ha ritenuto «la motivazione pienamente condivisibile». Ma ecco tweet e post incriminati. Il 5 maggio, per esempio, uno dei due alle 18,40 scriveva su Facebook: «Voglio uccidere la Casellati, presidente». Poi frasi sconnesse: «Spacca tutta polvere, schianta rullio arma, uccidere, più pericoloso, potente... attacca il presidente Casellati». L’altro indagato (difeso dall’avvocato Giovanni Ferrari) aveva invece scritto su Twitter: «Ammazziamo la Casellati». Alla presidente, in quel periodo, erano anche state inviate alcune lettere anonime. Il 27 maggio 2021, la notizia della denuncia era stata divulgata direttamente da Palazzo Madama: «La Presidente ha sporto denuncia per l’escalation di odio iniziata nell’ultimo mese con una serie di lettere anonime e culminata ieri in pesanti minacce di morte sui social network». 

LE MOTIVAZIONI

Per il pubblico ministero e per il giudice, come si legge nella richiesta di archiviazione, non si tratterebbe di esternazioni particolarmente allarmanti. Si tratta di espressioni «certamente sintomatiche di un atteggiamento di marcata ostilità verso la Presidente del Senato - si legge nella richiesta di archiviazione - Ostilità che può ragionevolmente presumersi avere innanzitutto motivazioni politiche». Gli inquirenti, insomma, ritengono che non si tratti di dichiarazioni pericolose soprattutto «per le concrete modalità di propalazione»: per diffondere il pensiero violento è stata infatti utilizzata «una piattaforma social nella quale si è sostanzialmente anonimi - sostiene il magistrato - da località anche molto lontane da Roma - gli indagati sono uno di Teramo e l’altro di Verona - e nei riguardi di una persona rispetto alla quale non è documentato esserci stato alcun contatto diretto». E ancora: negli atti si legge che i post in questione «sembrano trasmettere più comuni, quanto banali, espressioni di rabbia verso taluni rappresentanti delle istituzioni e della classe politica, piuttosto che un tentativo di usare davvero, scientemente, violenza morale nei riguardi della persona offesa». Non è tutto: secondo i magistrati, l’allora Presidente del Senato «verosimilmente, senza la collaborazione del suo staff intento a monitorare i social network, avrebbe anche potuto definitivamente ignorare simili espressioni ad essa dirette». La conclusione dell’accusa, ancora una volta, è che si tratta di post ed esternazioni «di dubbia idoneità nell’ingenerare nell’alto rappresentante della Repubblica un serio turbamento dell’animo nel timore che i propositi omicidiari paventati nel web possano essere attuati». Per quanto riguarda la lettera anonima finita agli atti dell’inchiesta, invece, il pubblico ministero sottolinea che l’autore è rimasto ignoto e che «il contenuto è meramente ingiurioso e per questo non costituisce reato, ma illecito civile».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci