Il Caffè Pedrocchi compie 190 anni: l'idea del tempio e i tanti enigmi non risolti

Mercoledì 9 Giugno 2021 di Nicoletta Cozza
Il caffè Pedrocchi a Padova

Il 9 giugno 1831 s'inaugurava il ritrovo padovano grazie all'intuizione del signor Antonio e al progetto dell'architetto Giuseppe Jappelli. Da allora sono passati 190 anni che hanno visto il locale storico al centro della vita di Padova dall'epopea Napoleonica a quella del Risorgimento fino ai giorni nostri. Da oggi una serie di incontri e festeggiamenti

Agli artisti e agli scrittori stranieri dell'Ottocento, che lo consideravano una tappa obbligata del tour in Italia, si presentava come un tempio laico. Dedicato a Dioniso, perché questo raccontavano le insegne e i simboli scolpiti nell'architrave delle tre logge doriche. Gli intellettuali, poi, ne evidenziavano pure l'apparenza solenne, quasi religiosa: una residenza palladiana, un teatro dell'opera dove gli avventori sono gli attori, paragonabile alle magnificenze di Parigi e Londra. Mai prima un Caffè aveva avuto un'immagine espressa in termini così categorici. E a quasi due secoli dall'apertura, il Pedrocchi mantiene inalterati la fama di simbolo di Padova, di locale storico letterario, di reggia popolare, ma anche di sito intriso di storia, remota, passata e recente, che affonda nel mito antenoreo come narra Tito Livio descrivendo le vicende di Atene e Sparta, per arrivare al 1848, data in cui dalle sue sale partirono i Moti Rivoluzionari, propedeutici all'Unità d'Italia.
Era esattamente il 9 giugno del 1831 quando il Caffè senza porte venne inaugurato e oggi il compleanno verrà festeggiato con una serie di iniziative aperte alla città e che dureranno tutto il giorno: saranno momenti per leggere il presente di un'attività commerciale che per la prima volta ha dovuto fare i conti con il lockdown e le aperture a singhiozzo, e che adesso ha scelto di ripartire lanciando una nuova miscela di caffè, studiata da maestri napoletani, che finisce nella tazzina dopo una colata lenta grazie a una macchina a leva, come si usava un tempo. 


LA STORIA

La ricorrenza rappresenterà un'occasione per ripercorrere i quasi 200 anni dello Stabilimento e per rileggere la sua genesi, che è stata ricostruita da Andrea Colasio, assessore alla Cultura. La storia inizia dal protagonista, Antonio Pedrocchi, il quale desiderava realizzare il Caffè più bello del mondo e quindi si affida a una personalità geniale, l'architetto Giuseppe Jappelli. «Nelle incassature soprastanti le tre logge doriche, Giovanni De Min realizzò tre affreschi chiaroscurali, purtroppo scomparsi. Tuttavia, costituiscono un indizio fondamentale per comprendere il significato profondo del complesso-Pedrocchi - spiega l'assessore -. Rappresentavano, infatti, la vittoria dei padovani su Cleonimo, re degli spartani, il quale, come racconta Tito Livio, venne battuto prima dai romani e poi dai padovani. E proprio qui, dove sorge il Pedrocchi, gli scavi archeologici realizzati nel 1812 da Antonio Noale hanno individuato l'antico Foro Romano e i resti di colonne che si riteneva fossero quelle del tempio di Giunone a cui erano stati attaccati i rostri delle navi di Cleonimo, distrutte dalle milizie patavine. Jappelli aveva letto la relazione sul ritrovamento ed ecco svelato il mistero degli affreschi scomparsi e raffiguranti quelle scene. Ha rinverdito, quindi, il mito secondo il quale Padova è stata fondata da Antenore, fuggito da Troia dopo la distruzione da parte dei greci, come avvenne a Roma con Enea».
Ma c'è un altro aneddoto, legato al precedente. «I leoni in pietra a guardia delle logge settentrionali, contrariamente a quanto si ritiene, non hanno nulla a che vedere con San Marco, ma sono stati ispirati da quelli realizzati ai piedi della scalinata del Campidoglio.

Ancora Padova e Roma, quindi, unite da un sottile filo rosso».


L'IMPIANTO

Lo Jappelli aveva voluto tre logge anteposte al corpo di fabbrica per richiamare nel foro di Patavium il tempio di Giunone: le due di accesso introducono a una sorta di promenade al coperto, senza soluzione di continuità tra dentro e fuori. La terza, invece, conduce al piano nobile, una volta riservato ai soci del Casino e al Gabinetto di Lettura. 
Anche le sale al pianterreno, bianca, rossa e verde, hanno una connotazione storica. «Dopo il 1866 quando Padova con la terza guerra di indipendenza entrò a far parte del Regno d'Italia - prosegue Colasio - vennero tappezzate con i colori della bandiera. In realtà, fino al 1866, la bianca si chiamava nera per via del mobilio. Dell'arredamento jappelliano resta poco: 12 sedie in stile romano e 8 tavoli circolari con disco di marmo. Sul muro di sinistra c'è invece il famoso foro di un proiettile esploso dalla guardie austriache in seguito ai fatti dell'8 febbraio 1948, mentre sulla parete opposta un'altra lastra in rame riporta un passo della Certosa di Parma di Stendhal, che rappresenta le centinaia di visitatori illustri del Pedrocchi. Nella Sala rossa, invece, Jappelli fonde la sua cultura massonica con una buona dose di ironia: l'articolazione tripartita degli spazi evoca quella di una basilica completa di navata centrale e di due navicelle laterali, di un'abside e di una mensa».
L'indicazione un bicchiere d'acqua non si nega a nessuno, data da Domenico Cappellato Pedrocchi, che con un lascito testamentario aveva donato il complesso al Comune, viene rispettata ancora oggi in sala verde, dove non c'è obbligo di consumazione: da qui la denominazione di Caffè senza porte.


LE CURIOSITÀ

Tra gli aspetti enigmatici del Pedrocchi c'è il fatto che Jappelli propone più volte il medesimo numero: oltre alle logge e alle sale, sempre tre sono i gradini da salire per entrare nella sua esoterica bottega; gli ingressi per il Caffè; le porte di accesso alla sala rossa da via 8 Febbraio; i varchi che immettono dall'abside ai locali di servizio, mentre un terzo dei tavoli ha una forma triangolare.
«Tanto sono sobri i prospetti esterni, tanto è eclettico l'interno del Piano nobile, caratterizzato dai messaggi in codice - prosegue l'assessore -. Qui la denominazione di ogni sito porta a un metaforico giro del mondo, attraverso i luoghi e il tempo: Sala Etrusca, Greca, Romana, Ercolana, Rinascimentale, Rossini, Egizia, Moresca e, collegate ma con status minore, Barocca e Medievale. Epicentro del percorso labirintico è la Sala Rossini, passaggio obbligato per il visitatore e una sorta di faro, così come all'esterno la torretta del Pedrocchino, che ordina lo spazio. Un'invenzione architettonica teatrale, una Camera delle meraviglie di tipo illusionistico, tanto che chi percorre il viaggio ha la percezione di un'ampiezza maggiore rispetto a quella reale». «Sempre qui - conclude l'assessore - Jappelli evoca il suo mito politico: Napoleone I. Che cosa sono le api in bronzo sbalzato e dipinte d'oro, che trapuntano le pareti? Si tratta di un segno distintivo del condottiero francese, un sigillo personale che ritroviamo nei suoi appartamenti, nell'abbigliamento imperiale, negli accampamenti e sulle bandiere».


L'ultimo enigma è la sala Moresca, piccola e ottagonale, che evoca il misterioso Oriente, con un tromp l'oeil inquietante e malizioso: la figura di un arabo, con turbante, che sposta una tenda, come a voler guardare nella stanza vicina che era un camerino collegato al bagno delle signore. C'è chi dice che rappresenti Giovanni Battista Belzoni, ma l'identità vera resta uno dei misteri che ancora il Pedrocchi non ha svelato.

 

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