Oltre mille attività perse in un anno: «Come una guerra». Le lavoratrici pagano il prezzo più alto

Giovedì 10 Giugno 2021 di Gabriele Pipia
Oltre mille attività perse in un anno: «Come una guerra». Le lavoratrici pagano il prezzo più alto

PADOVA - «Un bollettino di guerra». È la metafora più usata, ma anche quella di maggiore impatto. La sceglie l'Appe, storica associazione padovana dei pubblici esercizi, per tirare il bilancio di un anno di pandemia.

Gli effetti sul settore della ristorazione sono devastanti e stavolta a dirlo non sono solo le grida d'allarme dei titolari e le manifestazioni di piazza. Nella settimana del tanto agognato ingresso in zona bianca a parlare sono soprattutto i numeri. Secondo le stime regionali della Fipe basate su dati Istat le ventimila attività del Veneto (dai bar ai ristoranti, dalle trattorie agli agriturismi) nel 2020 hanno perso complessivamente 3,3 miliardi di euro di ricavi con una media di oltre 150 mila euro a locale. Le conseguenze sono due: emorragia di imprese e perdita di migliaia di posti di lavoro.

I NUMERI

In un anno sono infatti andate perse 1.106 attività. È il saldo tra le 699 iscrizioni e le 1.805 chiusure. I conti in rosso sono la causa principale, ma in alcuni casi il Covid ha fatto direttamente la propria parte: tre giorni fa la celebre trattoria Do Oci di Cinto Euganeo, pietra miliare per generazioni di escursionisti dei colli, ha alzato bandiera bianca dopo più di 70 anni di attività. Il titolare era morto a novembre dopo esser stato colpito dal virus e la moglie non ce l'ha fatta a proseguire da sola. C'è poi un altro effetto, il più preoccupante dal punto di vista sociale. Se crollano i fatturati e chiudono i locali, ecco che tanti lavoratori si trovano a spasso. In Veneto nel giro di un anno si è passati da 94 mila a 72 mila dipendenti: una perdita di 22 mila persone e un calo superiore al 23%. Uno scenario cupissimo che riguarda soprattutto le donne: se i dipendenti maschi sono addirittura aumentati di 4.300 unità, le femmine risultano 26.600 in meno. L'Appe sta approfondendo i motivi. Due ipotesi: il fatto che molte donne siano rimaste a casa un anno fa nel momento del lockdown totale per accudire i figli e il fatto che le stesse donne abbiano trovato più facilità a ricollocarsi con altre mansioni come cassiere e commesse nei supermercati.

LE DIFFICOLTÁ

In totale sono stati persi 10.700 posti di lavoro a tempo determinato e 3.500 contratti stagionali, ma non solo: nonostante il blocco dei licenziamenti sono uscite da questo settore anche 7.900 figure che avevano contratti a tempo indeterminato. Perché? «Sono prevalentemente persone che non potevamo permettersi di stare ad aspettare la cassa integrazione - spiega Luciano Sbraga, direttore del centro studi Fipe - C'è anche chi ha dato le dimissioni perché aveva bisogno di liquidità per mantenersi e ha preferito ottenere il Tfr puntando poi a trovare un'altra occupazione». «E adesso - aggiunge il segretario padovano dell'Appe Filippo Segato - abbiamo il problema opposto. Molti lavoratori si sono ricollocati altrove, penso soprattutto ai banchi di gastronomia dei supermercati, e tanti ristoratori fanno fatica a trovare profili giusti. Mancano soprattutto le figure intermedie come aiuto cuoco e aiuto pizzaiolo». Il tema era già stato evidenziato nei giorni scorsi da Federalberghi Terme Abano Montegrotto dove molti albergatori si trovano con la difficoltà di aver visto scappare dipendenti che ora non riescono più a trovare.

L'ACCORDO

Intanto ieri mattina il presidente dell'Appe, Erminio Alajmo, ha firmato una convenzione con Banca Patavina e Cofidi veneziano per l'accesso agevolato al credito per le imprese. «In questa fase di ripartenza, in cui dobbiamo ricostituire le scorte e sostenere le spese di riavvio - spiega Alajmo - l'accesso al credito è fondamentale». Si riparte così, sperando che la zona bianca faccia il resto.

Ultimo aggiornamento: 16:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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