Banda delle truffe, un'accusata: «Non c'entro nulla, anch'io vittima. Facevamo solo commissioni per Bonollo»

Venerdì 6 Maggio 2022 di Marco Aldighieri
Il frame di un video: uno dei prelievi galeotti

PADOVA - I 5 esponenti della banda delle truffe, ieri mattina davanti al Gip Domenica Gambardella per l'interrogatorio di garanzia, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Altri due invece sono solo indagati senza essere stati raggiunti da alcuni misura restrittiva.
In carcere è finito Jacopo Bonollo, 25 anni di Padova, secondo l'accusa boss e mente di tutto il raggiro. Assieme a lui dietro alle sbarre c'è il pluripregiudicato Bruno Zoja, 50 anni, di Vicenza, ma da anni residente nel quartiere di Mortise. Ai domiciliari invece i gregari, come Andrea Torresin 49 anni di Abano, Andrea Benfatto, 39 anni, di Stra in provincia di Venezia, e Umberto Bedin, 44 anni, di Campodarsego. Ha invece il solo obbligo di firma la compagna di Torresin, Luisa Fasolato 43 anni di Abano.

Tutti sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe aggravate mediante indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento on-line.

IN TRIBUNALE
Luisa Fasolato
, difesa dall'avvocato Paolo Tabasso, come gli altri si è avvalsa della facoltà di non rispondere, perchè aveva già dato la sua versione dei fatti in fase di indagine. Ma ieri in Tribunale, prima di entrare nell'aula per l'interrogatorio di garanzia, ha voluto raccontare quanto le è accaduto.
«Il mio compagno (Torresin, ndr) ha conosciuto due anni fa in un bar Bonollo. Non siamo mai diventati amici, ma buoni conoscenti». E ancora: «Bonollo ci chiedeva se potevamo fare delle commissioni per lui, come ad esempio prelevare soldi dagli sportelli e ritirare pacchi. In cambio ci dava dei soldi». E infine: «Non sapevamo che carte di credito fossero e cosa ci fosse dentro. Ci siamo trovati all'improvviso nei guai. Siamo molto arrabbiati con Bonollo. Sono stata messa in questa situazione mio malgrado e ho problemi di salute e non c'entro nulla con questa storia. Ci mancava solo questo».

I FATTI
Nonostante un giro d'affari da circa 100 mila euro, Bonollo non sguazzava nell'oro. I soldi li spendeva in viaggi in taxi, essendo sprovvisto di patente di guida, costosi telefoni cellulari e scorpacciate di sushi nel locale di Mortise, da cui è partita l'indagine condotta dagli uomini della Squadra mobile. Uno dei primi raggirati è stato proprio il titolare cinese del ristorante giapponese dove spesso Bonollo, difeso dall'avvocato Franco Monteverde, si presentava a cena a volte anche con comitive di 15 persone. Lasciava centinaia di euro per il banchetto e poi una volta in cassa proponeva al ristoratore di fargli pagare di più attraverso la carta di credito o il bancomat - che ovviamente non erano suoi, ma clonati - in modo tale da poter avere la differenza in contanti.
Ma a gennaio del 2020 il commerciante asiatico si è rifiutato di proseguire con quelle operazioni. Bonollo lo ha minacciato e lui ha presentato denuncia alla polizia. E così sono scattate le indagini, che hanno portato alla luce un importante caso di phishing, ovvero l'invio di link che permettono ai truffatori di installare trojans, virus in grado di fornire dati sensibili come ad esempio le password o i pin di carte di credito e carte bancomat usate.
Poi, con quelle in mano, prelevare soldi o fare acquisti diventa molto facile. Il denaro poi, sistemati i conti con i suoi aiutanti, liquidati con pochi spiccioli, veniva reinvestito in telefoni di alta gamma, gratta e vinci o investimenti in bitcoin, oppure in compra-vendita di droga.
 

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