PADOVA - Non conosce la data esatta in cui è nata ma celebra ogni anno il 9 aprile, il giorno in cui è stata ritrovata. La piccola Madhu aveva tre anni, un visetto impaurito e due genitori sconosciuti. Nella primavera del 1995 venne lasciata in una cesta davanti all’orfanotrofio indiano di Delhi e in quella struttura rimase poi per altri sei mesi prima di essere adottata da una famiglia padovana. Oggi Madhu Caterina Amodio è una trentunenne make up artist perfettamente integrata, vive a Maserà e sorride ripercorrendo tutto: «Ho trovato una famiglia meravigliosa e sono riuscita a mia volta a farmi una famiglia. Sarò per sempre grata alla vita». Proprio ieri pomeriggio è corsa alla stazione di Padova assieme al padre adottivo per accogliere un ex studentessa indiana che aveva contribuito ad accudirla, farla crescere e insegnarle la lingua nei suoi primi giorni padovani. Si sono riabbracciate dopo ventotto anni. Un abbraccio che sembrava davvero un inno alla vita. Madhu ha deciso di raccontare la propria storia dopo aver letto tutti gli articoli su Enea, il neonato lasciato nella Culla per la Vita del Policlinico di Milano. «Sono nata a Delhi o almeno così presumo.
LA COSCIENZA
«Ho sempre saputo che ero stata adottata, i miei genitori me lo hanno sempre detto - racconta -. Non c’è stato un momento preciso in cui l’ho realizzato, l’ho sempre saputo e questa cosa mi ha fatto bene. Magari a volte io ero più restia a tirare fuori il passato ma loro me lo hanno sempre normalizzato». «Ricordo bene i pensieri che facevo da bambina: mi ritenevo fortunata perché a Padova potevo avere una mamma mia, un papà mio e un divano mio. Sì, proprio un divano: lo associavo alla possibilità di poter entrare in una casa sapendo che quella era la mia realtà. Potevo sedermi su quel divano senza dover chiedere il permesso a nessuno mentre probabilmente nell’orfanotrofio in India ero stata sottoposta ad un’educazione più rigida». Ieri Madhu ha rivisto dopo una vita Sr Rani, un ex studentessa di Medicina a Padova oggi dottoressa e clarissa. «Quando venni adottata lei diede una mano alla mia famiglia con la traduzione dall’hindi all’italiano. Sr Rani si laureò con ottimi voti in Italia e poi si trasferì prima a Londra e poi a Calcutta. Dopo tantissimi anni è tornata qui, a Padova. A casa di Madhu cresciuta. Io sono quella bambina nella cesta fredda».
LA RIFLESSIONE
Dai ricordi del passato alle riflessioni sul presente e sul caso del piccolo Enea. «Il 9 aprile è il giorno in cui sono stata affidata in un orfanotrofio - ricorda Madhu -. Come Mosè venne affidato con angoscia a quelle acque torbide ma più sicure di quel presente simile ad una condanna. Vengo da un gesto drammatico, ma lungimirante. Chi l’ha fatto mi voleva bene, voleva il mio bene. Quello per me incarna davvero il concetto di madre. Vengo dal pianto di dolore che spinse nell’acqua la cesta di Mosè. Ma la mia non è una vita di condanne. È una vita di possibilità». Il piccolo Enea ha già trovato una famiglia ad accoglierlo a braccia aperte ma Madhu pensa soprattutto all’altra mamma del neonato, quella biologica, che l’ha lasciato in una culla con tre giorni di vita. «Tu, massacrata dal giudizio, sicuramente non leggerai mai ma sappi che nessuna critica sarà più concreta e reale di ciò che hai deciso di fare. Hai deciso di donare possibilità quindi hai deciso di amare. Non sarai presente, ma ci saranno tante persone come Rani, educatori, parenti e nuovi genitori, ricchi di desiderio e consapevolezze d’amore per quel figlio. Vedrai che lo aiuteranno in quel sentiero che hai scelto tu per lui. Hai scelto bene. Hai scelto il giusto». Parola di una figlia lasciata in una cesta fredda. Una figlia adottata e rinata.
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