Padova. Concorso in Comune, assolti Nichele e Greco. L'avvocato: «La verità ha prevalso sull'infamia delle accuse anonime»

La Procura aveva chiesto una pena di 8 mesi ciascuno per abuso d'ufficio, falso e rivelazione delle prove d'esame

Giovedì 3 Novembre 2022 di Marco Aldighieri
Assolti per il caso del concorso in Comune (foto d'archivio)

PADOVA - Il processo in rito abbreviato sul tanto chiacchierato concorso in Comune per la nomina del dirigente dei Lavori pubblici, si è concluso con due assoluzioni. Il vincitore, correva l'anno 2019, l'ingegnere Emanuele Nichele di 48 anni e l'avvocato Antonio Greco di 44 anni membro della commissione esaminatrice dal Gup Claudio Marassi, ieri poco dopo mezzogiorno, hanno incassato un «perchè il fatto non sussiste» ma con il 530 comma 2 per cui la prova manca, è insufficiente o contraddittoria. Entrambi erano stati iscritti nel registro degli indagati dal pubblico ministero Sergio Dini e sono stati accusati a vario titolo di abuso d'ufficio, corruzione, rivelazione di segreti d'ufficio e falsità ideologica.

La pubblica accusa, davanti al giudice, ha chiesto l'assoluzione per tutti e due per la corruzione, mentre la condanna a otto mesi ciascuno per i rimanenti reati.

I fatti

Il concorso fin da subito è stato chiacchierato tra i corridoi di palazzo Moroni. Dopo la prova scritta effettuata a maggio del 2019, di 36 candidati ne sono passati solo tre per accedere alla prova orale: Nichele (difeso dai legali Gianni Morrone e Marina Infantolino), Domenico Lo Bosco ed Erika Ballerini. A spuntarla è stato l'ingegnere. Lo stesso che, ancora in forze al Comune di Cittadella, in data 11 aprile 2019, ha assegnato un incarico per attività legale di supporto ai funzionari comunali all'avvocato Greco, per un compenso di 2.918 euro. Insomma, a pochi giorni dal concorso Nichele al suo amico legale membro della commissione esaminatrice ha affidato un lavoro con il Comune di Cittadella. Ed ecco l'ombra del sospetto, diventata poi un'accusa di corruzione mossa dalla Procura a entrambi, ma che il pm ha fatto cadere. Motivo, quei 2.918 euro non sono la prova di una avvenuta corruzione. Quindi le indagini, avviate grazie a un esposto anonimo e a uno dell'Anac (autorità nazionale anticorruzione), hanno portato gli inquirenti ad acquisire i tabulati telefonici di Nichele e Greco valutando come i due, proprio in quel periodo, si siano contattati con intensità al cellulare. Ma quelle telefonate non sono state considerate probatorie e alla fine è arrivata l'assoluzione.

Il rapporto

L'ingegnere, a partire dal 2009, prima come dirigente dei Lavori pubblici del Comune di Tezze sul Brenta (Vicenza) e poi dal 2016 con lo stesso incarico al Comune di Cittadella, per l'accusa avrebbe conferito incarichi a Greco per un ammontare di 300 mila euro. Sulla base di questa relazione la Procura ai due ha contestato, in merito al concorso, la falsità ideologica. Greco come membro della commissione esaminatrice avrebbe attestato di non trovarsi in alcuna situazione di incompatibilità in relazione ai concorrenti. Una affermazione, secondo gli inquirenti, non conforme al vero perchè i due sarebbero amici intimi almeno dal 2009. E poi Greco, ancora per l'accusa, avrebbe dovuto astenersi dal suo ruolo di esaminatore, e per questo ai due in concorso è stato contestato l'abuso d'ufficio. Infine Nichele e Greco, si sarebbero macchiati del reato di rivelazione di segreti d'ufficio. Greco avrebbe spifferato a Nichele informazioni sugli argomenti delle prove scritte e dell'esame orale. Ma tutte queste accuse sono cadute.

Il commento

Mentre l'ingegnere Nichele non ha voluto rilasciare dichiarazione, l'avvocato Greco difeso dallo studio Bongiorno ha commentato la sentenza di assoluzione a suo favore. «Aspettavo con ansia questo giorno da quasi tre anni. La sentenza del Tribunale di Padova - ha dichiarato - definisce una situazione kafkiana che ha provocato troppo ingiusto dolore in me e nella mia famiglia. Da avvocato, con la serenità e la consapevolezza proprie di chi ogni giorno combatte le ingiustizie, ho sempre confidato in questa decisione, ben sapendo di essere completamente estraneo ai fatti che erano stati contestati, e di aver svolto con ineccepibile diligenza il mio ruolo di commissario». E ancora: «Non avevo il minimo dubbio che la verità del processo sarebbe prevalsa sull'infamia delle accuse anonime. Proprio per questo ho chiesto io stesso di essere giudicato rinunciando a tutte le garanzie difensive del dibattimento».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci