Ballotta ai piedi dei Colli Euganei: quella di Torreglia è una delle più antiche trattorie d'Italia

Lunedì 22 Febbraio 2021 di Edoardo Pittalis
Ballotta ai piedi dei Colli Euganei: quella di Torreglia è una delle più antiche trattorie d'Italia

Da più di quattrocento anni la gente si ferma qui a tavola, ai piedi dei Colli Euganei. All'Antica Trattoria Ballotta di Torreglia sono passati scienziati, poeti, viaggiatori, eroi e avventurieri. Ci veniva Galileo quando lasciava Padova per comprare il pollame ed era il 1609. Si è fermato Goethe nel suo viaggio in Italia, era il 1786. Ugo Foscolo nel 1797, l'anno della caduta della Serenissima. E prima dei due era passato Giacomo Casanova, sulle tracce di una dama misteriosa. D'Annunzio ci ha trascorso la notte prima del volo su Vienna, agosto del 1918, poi è decollato col biplano dal vicino campo di San Pelagio. Fino a quando, dopo l'ultima guerra, è arrivato Orio Vergani, famoso giornalista, per fondare l'Accademia della Cucina.  Questa è una delle più antiche trattorie d'Italia, nel Cinquecento era un deposito di merci per i conventi disseminati sul Rua e sul Venda.

Quando nel Seicento i nobili veneziani incominciarono a costruire le loro ville sui Colli, fecero passare la strada che andava verso Vo' e portava a Montegrotto e a Este proprio davanti al deposito trasformato in locanda con cambio di cavalli. Torreglia è una capitale della cucina, rappresenta un caso unico: seimila abitanti e 37 ristoranti con 400 persone che ci lavorano; praticamente quasi tutte le famiglie sono legate alla ristorazione. Qualcuno ha parlato di Food Valley. Torreglia è metà pianura e metà collina, anche il paese è costruito su due metà: la moderna in piano, quella storica dove i colli vulcanici s'alzano dolcemente. La crisi sì è abbattuta feroce: «Tutto qui gira attorno alla ristorazione, dall'idraulico alla tabaccheria; è franato anche il turismo termale. C'è stato un piccolo risveglio, speriamo». 


Qui si sono inventati tutto: anche il termine chilometro zero, nato nel 2004 per esaltare i prodotti locali.
L'Antica Locanda ha preso il nome di Ballotta a metà del Novecento. La gestiva la famiglia Carta, sarda, e uno dei figli, Toni, era piccolo e robusto, così la gente lo chiamava Baeota, rotondo come una palla. Era il tempo di Bombolo, una canzone popolare: Era alto così, era grosso così,/ lo chiamavan Bombolo. E fu allora che il nome del locale divenne Ballotta. Nel 2000 sono arrivati Gelindo e Augusta Legnaro con i loro quattro figli. Oggi la famiglia conta su tre aziende in zona: ristoranti anche a Abano e Montegrotto, il Grand Hotel a Montegrotto; 70 dipendenti, un fatturato di 7 milioni di euro. Al vertice è Fabio Legnaro, padovano 59 anni; gestisce con i fratelli Anna, Adriano e Cristina. Lo affiancano figli e nipoti.


Ma i Legnaro sono sempre stati ai fornelli?
«Siamo cresciuti a Montegrotto Terme e finite le scuole d'obbligo tutti a lavorare. Il papà è stato il primo ad avere un diploma Usl nel '60 per i massaggi in albergo agli ospiti delle cure termali. Io sono il più piccolo dei fratelli, gli altri erano tutti impegnati nelle terme, si lavorava senza orari. Una volta c'era il ragazzino che asciugava il sudore ai foresti sul lettino ed era generalmente il figlio del fanghino. Ma io sognavo altre strade, ero appassionato di automobili e motori e avevo incominciato come carrozziere e come meccanico».


Come è andata con la passione per i motori?
«Sono riuscito a scappare spesso e ho fatto qualche gara, a casa non sapevano bene che cosa facessi. Andavo a correre e ho pure vinto alcune corse, anche a Bassano; andavo abbastanza veloce e guidavo una Talbot che era una specie di prototipo. Mio figlio Federico ha trovato in garage qualche pezzo importante e ha ereditato la passione: ha vinto due anni di seguito la Bologna-San Luca, gara in salita, e nell'ultimo Motor Show con una 124 Abarth è stato primo nella categoria Duemila. Stiamo riponendo in questi anni uno speciale interesse sul nipotino Giovanni che a 7 anni è già sul kart con risultati ottimi. Mi è rimasta la passione per l'auto tanto che un paio di anni fa ho preparato un locale ad Abano Osterie Meccaniche dove si mangia tre le vecchie auto». 


Ha una collezione di auto storiche: alcune sono esposte davanti alla trattoria
«Una passione quella per le vecchie macchine che ho trasmesso a figli e nipoti. Ho un modello che ha 115 anni, la prima Ford T uscita dalla catena di montaggio del signor Henry Ford. Ho raccolto auto americane ma anche francesi e Mercedes e Fiat. Per non parlare dell'amore per il Cavallino: abbiamo qualche Ferrari d'annata. Abbiamo avuto ospiti i piloti della Ferrari, da Schumacher a Patrese».


Quando l'aspirante pilota Fabio diventa ristoratore?
«Nel 1980 io finivo il militare, c'era l'occasione di prendere in affitto l'ex Lido di Abano e mi hanno seguito fratelli e cognati. Era la prima pizzeria di Abano con due forni, una novità; restava aperto quasi 20 ore al giorno, una fucina per noi e anche redditizia. Ed era anche un piccolo albergo non termale. Poi nel 1989 da un fallimento rileviamo un albergo molto bello di Montegrotto, il Grand Hotel. Nel 2000 l'occasione di rilevare la Ballotta, papà e mamma sono di Torreglia e per loro aveva un significato forte. Ci dividiamo i compiti, tutti impegnati, anche sette figli e nipoti come mutuo soccorso, ci si sposta dove occorre. Abbiamo sempre detto loro di studiare, di fare un altro lavoro perché questo ti toglie la vita, ma nessuno ci ha dato ascolto. Anche chi si è laureato ha scelto di entrare nell'azienda. Ed è una grande soddisfazione perché il futuro dei nostri locali così è assicurato».


Cosa significa raccogliere l'eredità di un'azienda storica?
«Ci ha impegnato molto, ma ci ha anche un po' specializzato. Abbiamo investito nel recupero dei prodotti della zona: il momento della primavera con le erbette, poi il momento dell'oca, del gran bollito, del maiale, dei funghi. Questi vent'anni sono stati grandi e belli allo stesso tempo, accompagnati dalla crescita del bacino Euganeo. Nella promozione ci ha seguito un amico mancato da poco, Mario Stramazzo, abbiamo cercato il riso giusto, il baccalà più adatto».

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Il lockdown che conseguenze ha portato?
«Noi abbiano 180 posti-tavola, li abbiamo quasi dimezzati per rispettare il distanziamento in due ampie sale; dimezzati anche i 90 posti della terrazza con un glicine centenario. La prima volta siamo rimasti chiusi 114 giorni e abbiamo perso il 45%, a luglio e agosto c'è stata una crescita, ma col secondo lockdown altro crollo senza le cene e senza Natale. Si è bloccata la zona termale dove ci sono 16 mila posti letto e una stagione di dieci mesi. Sono crollati i clienti e le 8 mila persone che lavorano negli alberghi ne hanno pagato conseguenze pesanti. Ma questa mezza riapertura ci ha restituito l'affetto dei nostri clienti, però il lavoro grosso per un ristorante è la sera, è la cena, quello è l'osso grasso. È il segnale di un possibile buon risveglio».


Come presentate la vostra cucina? E il vostro menu?
«È la cucina della tradizione, dettata dalle stagioni e animali da corte. Il nostro primo è un piatto che facciamo col Carnaroli veronese con lo Scorzone euganeo bianco, un tartufino non pregiato ma molto buono, sfumandolo con un Serprino che è un vino frizzante dei Colli, il nostro Prosecco. Come secondo il piccione: c'è stata anche una grande diatriba perché Breganze rivendicava la paternità di questo piatto. Il Tribunale di Padova ha stabilito che Torreglia lo faceva al forno e Breganze allo spiedo. Il dolce è la Pazientina: zabaione, alchermes, biscotti con pasta di mandorle. Noi nasciamo dalla cucina, io ho fatto il cameriere e c'è scritto cameriere nella mia carta d'identità. Resto il cameriere dei miei clienti».

Ultimo aggiornamento: 15:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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