«La mia corsa è spirituale e trovo Dio». Il docente Alberto Trevellin riscopre la fede con l'atletica

Sposato, tre figlie, insegnante, impegnato nel sociale e nella vita parrocchiale. Credente, non bigotto.

Sabato 26 Novembre 2022 di Vittorio Pierobon
Alberto Trevellin riscopre fede con la corsa

«Senza preghiera, io vado in disidratazione spirituale», un'affermazione forte che sembra uscita dal libro dei Santi martiri. Una dichiarazione coraggiosa, perché al giorno d'oggi pregare non sembra di moda e chi lo fa spesso non lo dice, quasi fosse un segno di debolezza. Non la pensa così, Alberto Trevellin, nato a Camposanpiero 34 anni fa, insegnante di religione al liceo scientifico Curiel di Padova. È così convinto dell'importanza della preghiera che ne ha scritto un libro "Correre con Dio".

Riflessioni sulla spiritualità della corsa, Messaggero Edizioni (14 euro), in cui cerca di dimostrare lo strettissimo rapporto tra la corsa e la spiritualità.


LA STORIA
«Quando corro io prego, offro la mia fatica a Dio». Un concetto di non facile assimilazione, perché nell'immaginario la corsa è fatica, sudore, imprecazioni, talora bestemmie. Per capire come Trevellin sia giunto alla sublimazione della corsa, bisogna conoscere la sua storia personale. Lui ha cominciato a correre da ragazzino, non certo per pregare, ma a livello agonistico con la maglia dell'Assindustria Padova, gloriosa società di atletica leggera. Alberto sgambettava sulle piste del campo sportivo Colbacchini, velocista di buon livello, al punto di meritarsi qualche convocazione nelle nazionali giovanili. Bravo, ma non un campione. «Arrivavo sempre secondo, nelle gare importanti c'era sempre qualcuno che faceva un po' meglio di me». Per questo ha smesso da giovane, interrompendo una carriera ancora tutta da scoprire.
A 17 anni l'altro episodio che ha sconvolto la sua vita: l'incontro con la fede. «Mi sono convertito a Medjugorje. Sono partito per un pellegrinaggio molto scettico, e sono tornato cambiato. Da lì è cominciato non tanto il mio cammino di ritorno al cristianesimo, piuttosto la sua scoperta, la penetrazione dei misteri e della bellezza della fede cristiana, un moto di discesa e ascesa nei suoi inestimabili tesori, che prima non conoscevo o mi sembravano banalità». E nel santuario bosniaco i messaggi che la Madonna invia (su questo la posizione ufficiale della Chiesa è molto scettica, non c'è alcun riconoscimento ufficiale del dialogo tra i veggenti e la Signora) invitano costantemente alla preghiera.
Un messaggio che Trevellin ha recepito in pieno, abbinandolo alla corsa. «Mi sono reso conto che più pregavo e più sentivo di averne bisogno, di non poterne fare a meno. Il difficile era conciliare il ritmo della vita quotidiana con la preghiera. La nostra società non lascia spazio per la spiritualità, e questa diventa una buona scusa per non pregare. Non c'è tempo».
Trevellin il tempo lo ha trovato. Il suo ragionamento parte dai testi sacri e dallo stesso comportamento di Gesù e degli apostoli: erano sempre in cammino, per predicare dovevano spostarsi, spesso a piedi. Erano mossi dalla fede. «Spinto da queste riflessioni, ho cominciato a chiedermi se non potesse esistere anche una preghiera del corpo, dell'azione, un'orazione atletica, per così dire, dove l'uomo non sta più fermo ma si muove e così facendo prega. Il corpo è pur sempre opera di Dio, quindi è sacro quanto lo spirito».


LA RIFLESSIONE
Trevellin racconta con grande convinzione e trasporto la sua vita dedicata alla preghiera. Sembra un personaggio fuori da questo tempo materiale. In realtà è un uomo del nostro tempo, ben inserito, non un eremita. Sposato, tre figlie, insegnante, impegnato nel sociale e nella vita parrocchiale. Credente, non bigotto. Non è un alieno, anche se attorno e dentro le chiese, pare esserci sempre più il vuoto. «È vero, purtroppo, molti si allontano dalla Chiesa, ma non dalla spiritualità. Io ne parlo spesso con i miei studenti, alcuni non frequentano la mia lezione, hanno optato per materie alternative. E sa cosa hanno scelto? Lo yoga, un mondo di grande spiritualità. Penso che siamo al tramonto di un certo Cristianesimo, non certo della religione». L'invito di Trevellin è aperto a tutti, non solo ai credenti, la corsa è benefica per il corpo e per il spirito. Chi vuole la può elevare a preghiera, per altri sarà un benessere personale, fisico. E la fatica ne è una componente essenziale. «Credo proprio che oggi il mio correre sia un correre spirituale. Corro perché sono un cristiano e un cristiano non può non correre, perché sente l'urgenza dell'annuncio, ma soprattutto la gioia contenuta in esso. Corro perché ultimamente mi è sembrato di cogliere nella corsa il desiderio incolmabile, forse solo mio, di correre incontro a Dio, non solo andargli incontro, ma più propriamente corrergli incontro, come se non ci fosse tempo da perdere, come se non ci fosse cosa migliore da fare. Corro, alla fine, perché si può pregare anche così, con i muscoli contratti, le ampie falcate, il cuore che batte e una gioia che a volte pare infusa dall'alto. Corro perché sono un innamorato di Dio».
Il pensiero dei Trevellin, codificato nel libro, persino con un'appendice di istruzione per l'uso, in cui consiglia come gestire la preghiera nella corsa e nell'arco della giornata, può trovare molti oppositori e scettici, anche tra gli stessi credenti, però non è certo un sentire isolato, come testimonia don Marco Pozza, il parroco dei carcerati del Due Palazzi di Padova, nella prefazione del libro: «Alberto ci insegna a invitare Dio a stare in nostra compagnia nel momento in cui siamo felici. Perché invitarlo solo negli attimi di sfiga, di depressione, di dolina del cuore? Penso che a Dio, ogni tanto, io gli piaccio mentre sorrido, non mentre mi lagno». Mentre corro, aggiunge Trevellin.
 

Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 23:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci