TREVISO - «Volevamo rubargliele quelle dosi di droga, di hashish. Ci eravamo incontrati prima per prendere accordi, dicendogli in realtà che la nostra intenzione era di comprare. Invece volevamo rubarle, anche con la forza». Questo uno dei passaggi più importanti emersi durante il primo interrogatorio fatto al 15enne rinchiuso nel carcere minorile di Santa Bona per l’omicidio di Francesco Favaretto, il 22enne ucciso la sera del 12 dicembre scorso in via Castelmenardo. Favaretto venne picchiato, colpito da una coltellata al costato, da un fendente alla gola scagliato con coccio di vetro e da una bottigliata in testa. Colpi letali. Favaretto morì al Ca’ Foncello dopo undici giorni di agonia mentre era ricoverato in terapia intensiva. Il 22enne venne aggredito da una decina di ragazzi, in quattro sono stati materialmente accusati di aver commesso l’omicidio: Toluwaloju Mclinkspual Ade di 19 anni, Angelo Riccardo Ozuna di 18 anni e il 15enne residente a Treviso, tutti e tre accusati di rapina e omicidio volontario. Una ragazza di 19 anni è stata invece accusata di concorso in omicidio volontario ma a piede libero, sarebbe stata lei a sferrare il colpo con la bottiglia. Altri sei minori sono invece stati denunciati per rapina.
LA DEPOSIZIONE
Lunedì scorso il pm della Procura dei Minori Giovanni Parolin ha interrogato il 15enne. Una deposizione durata circa un’ora in cui il minorenne ha ripercorso quanto accaduto quella sera di metà dicembre: «Non doveva finire così - ha ammesso - non volevamo fargli del male, di certo non volevamo ucciderlo. Ma solo rubargli le dosi». E per farlo si sono presentati all’appuntamento con lo spacciatore in massa: dieci contro uno. La situazione è subito degenerata: «Lui quelle dosi non ce le voleva dare - ha detto il 15enne - gli animi si sono scaldati e qualcuno ha iniziato a urlare, spingere e a colpire. Favaretto ha reagito e i colpi sono aumentati». Il racconto del ragazzino combacia con quanto è stato ripreso dalle telecamere: «In realtà lo hanno colpito in tanti, qualcuno poi ha tirato fuori il coltello. L’ho colpito anche io, con il pezzo di vetro, ma non alla gola. Il mio colpo si è fermato al giubbotto, ma sulla schiena. Quella ferita alla gola non l’ho procurata io. E poi mi sono allontanato». Dopo questa prima aggressione, Favaretto però si rialza, barcolla. Qualcuno prova a strappargli lo zainetto probabilmente convinto che contenga quelle dosi che, invece, nasconde nei vestiti. «Quando mi sono allontanato - ha continuato il 15enne - c’è stata la seconda aggressione. Due ragazze si sono avvicinate a quel ragazzo e una di loro l’ha colpito in testa con la bottiglia. Poi sono scappato». A quel punto Favaretto è a terra e c’è un fuggi-fuggi generale anche perché i residenti hanno allertato polizia e soccorsi e si sentono le sirene in avvicinamento. «Non volevo che finisse così, che quel ragazzo morisse. Non era quello che volevamo fare», ha concluso il 15enne.
LA NOVITÀ
Fino a lunedì il 15enne era sottoposto alla custodia cautelare in carcere solo per l’accusa di rapina aggravata, non per omicidio volontario: il fascicolo era infatti stato aperto quando Favaretto non era ancora morto, anche se ormai allo stremo delle forze e attaccato a una macchina che lo teneva in vita nella terapia intensiva dell’ospedale trevigiano. E non è mai stato cambiato fino all’incontro col pm: l’accusa di omicidio è stata invece formalmente messa nero su bianco solo dopo l’interrogatorio. Il ragazzino attualmente passa le sue giornate in cella, ha ripreso a studiare regolarmente e segue le attività del carcere. È uno che parla poco. Anche durante il colloquio col magistrato ha tenuto un atteggiamento molto cauto, quasi diffidente anche se ha risposto a tutto. E ha confermato quello che si sospettava fin dall’inizio: quello di via Castelmenardo è stato un agguato, con l’obiettivo ben preciso di rubare della droga con la violenza.