Chiusura Wanbao, il Vescovo accusa i cinesi: «Noi, vittime di predatori»

Giovedì 19 Dicembre 2019 di Andrea Zambenedetti
Lavoratori Wanbao in corteo

BELLUNO - «Definirci vittime dei predatori è un'espressione violenta ma verbalmente esprime quello che è successo. Si diventa predatori quando non si guardano in faccia le persone». A meno di dodici ore da quando i lavoratori Wanbao sono tornati dall'incontro al Ministero dello sviluppo economico il vescovo di Belluno, monsignor Renato Marangoni, torna a parlare di lavoro. La scorsa settimana assieme a quei lavoratori aveva camminato fin davanti ai cancelli della fabbrica che rischia la chiusura. «Noi, colonizzati dai cinesi? Beh si un po' ci siamo sentiti così. Sono cose conosciute in altri settori, è brutto sentirsi colonizzati: in gioco c'è il bene comune. È sui più giovani che dobbiamo investire, alle persone dobbiamo dire che i veri profitti sono i figli, il punto fragile».

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DA SAFILO A WANBAO
«Una lettura reale della situazione non è facile - spiega monsignor Marangoni - non sono solo alcuni indicatori che contano ad essere messi in discussione ma è in discussione anche il vissuto della provincia. In difficoltà c'è il tessuto relazionale, il potenziale progettuale, la capacità di pensare assieme e dire che il futuro riguarda tutti. Questo lo percepisci anche dal punto di vista ecclesiale. Oggi manca uno sguardo che permetta di vedere avanti insieme. Penso che anche alla politica in primis serva una riflessione profonda su quello che sta succedendo ma è spesso assorbita dal quotidiano». A Longarone è significativo quello che sta succedendo: da un lato della strada Safilo annuncia il licenziamento di settecento dipendenti in tutta Italia (nel bellunese si stimano 400 esuberi) dall'altra Thelios raddoppia lo stabilimento. «Questo è banco di prova se c'è uno sguardo che va oltre e percepisce che in ballo non c'é il profitto ma il tessuto che può lacerarsi. L'esubero perché deve essere esubero? Dove lo mandiamo sulle nuvole? Non possiamo scaricare e non vedere che altri potrebbero essere coinvolti».


Il vescovo Renato Marangoni davanti ai cancelli della Wanbao

IL RAPPORTO CON LA FEDE
Il risultato diretto sulla fede non è un riavvicinamento alle chiese. «Succede in modo diverso rispetto al passato. Un tempo era istituzionalizzato il momento di rapporto e ricerca con Dio, oggi si vive in modo personalizzato, quindi legato a gli affetti ai timori partecipata con il cuore. Gli spazi sono però molto più ampi di quelli che misuriamo esteriormente. Questo mi dà fiducia».

COMUNITÀ DIVISA
«Arrivando in questa provincia ho scoperto la particolarità di una comunità frammentata, anche un piccolo comune è suddiviso in frazioni, il collante faccio fatica a vederlo. Sono preoccupato e attento. Proprio per questa ragione incontrerò i sindaci per offrire loro la possibilità di incontro e di riflettere assieme. La crisi del lavoro incide nello sfaldamento del tessuto sociale. Il lavoro non è solo produzione, c'è la percezione che il lavoro trascini tutto il resto».

VAJONT TRAGEDIA SENZA FINE
Particolarmente delicata la riflessione sul dramma del Vajont, diventata una grande opportunità di sviluppo grazie ai contributi arrivati qui. «La ricostruzione ha aperto molte possibilità ma adesso di ottantamila lavoratori impiegati in provincia la metà lavora nell'occhialeria. Quell'entusiasmo della ricostruzione pare abbia stretto l'entusiasmo sul breve periodo limitando una visione ampia. Un entusiasmo che ha impedito lo sviluppo? Direi che è cambiata la lettura della situazione e le componenti se non condividiamo i punti di vista nessuno ha conoscenza e prospettiva».

LA SOLIDARIETÀ
«Quando ho camminato con gli operai per Wanbao mi hanno colpito i cartelli. Siamo 290 famiglie recitava uno di questi. Proprio la parola siamo mi ha fatto molto riflettere. Questa frase costringe tutti a prendere nuova responsabilità, associazioni, corpi intermedi, non solo la politica. Ma se manca la vigilanza consentiamo a qualcuno di diventare predatori. La politica sta tamponando ma ha mille incombenze, anche qualche sindaco si sente un esattore». Il modo per uscirne? Puntare sulla comunità.

LA SPERANZA
Vaia e le due crisi industriali dimostrano come il tessuto sociale esista ancora: «Come bellunesi sentiamo di condividere il segnale di un territorio che sta rigermogliando. Bisogna ripensarci come presenza e capacità di intuire».

Andrea Zambenedetti

Ultimo aggiornamento: 15:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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