Due donne alla settimana chiedono aiuto, ma pochi Comuni sostengono il centro antiviolenza

Lunedì 6 Marzo 2023 di Giovanni Santin
Violenze sulle donne

BELLUNOOgni settimana due donne chiedono aiuto al Centro Antiviolenza Belluno-Donna.

A volte il numero è anche più alto. E il trend è in continua crescita e, pur in mancanza dei dati definitivi che riguardano il 2022, ciò che è certo è che anche nel corso dell’ultimo anno le donne che si sono rivolte al Centro è più alto dell’anno precedente. Eppure, nonostante il grande lavoro che svolge l’associazione, solo metà dei comuni della provincia versano il loro contributo.

LA CRESCITA
Sembrano così lontani i dati del 2004, primo anno di attività quando il Centro contava solo 4 donne che si erano rivolte allo sportello. Erano già 55 nel 2013, dopo dieci anni; 138 nel 2021 – un anno segnato ancora dal Covid e quindi da qualche difficoltà – ma il picco è stato raggiunto nel 2018 con 149 nuovi contatti. È la presidente dell’associazione, Anna Cubattoli, che fornisce i dati. Può contare su una quarantina di volontarie oltre a quattro persone assunte part-time e spiega così la crescita delle richieste di aiuto: «Da una parte è sicuramente aumentata la presa di coscienza da parte delle donne, dall’altra il nostro Centro è sempre più conosciuto e con esso l’aiuto che siamo in grado di dare».

I NUMERI
Sono vent’anni che Belluno-Donna è attivo in provincia di Belluno. Per documentare l’impegno che da allora non si è mai interrotto bastano i numeri che il sito del sodalizio aggiorna e pubblica regolarmente: sono 1.325 le donne accolte, 8.545 gli interventi di vario tipo (colloqui personali, telefonici, consulenza legale e contatti con agenti esterni). Far le donne accolte, il 75% sono donne bellunesi, il 25% straniere. «Ma siccome – spiega Cubattoli – le statistiche a livello nazionale ed oltre ci dicono che la percentuale di donne che subiscono violenza sono 1 su 3, il dato sulle donne straniere nasconde una realtà ben diversa. Per questo ci siamo chieste come intervenire e abbiamo capito che non sarebbe stato sufficiente mettere a disposizioni donne che parlassero la loro lingua, ma anche che fossero formate. Solo così è possibile far emergere un problema che per il momento crediamo sia molto sommerso». 

GLI SPORTELLI
La modalità, insomma, è quella di avvicinarsi in tutti i modi possibili a chi vive una situazione di difficoltà. La stessa usata anche per il territorio provinciale. Dopo l’esordio a Ponte nelle Alpi ancora nel 2004, il sodalizio aveva aperto uno sportello a Belluno. Tuttavia qui giungevano poche richieste di aiuto per esempio dal Feltrino. È stato questo il motivo - cioè avvicinarsi al bisogno – che ha portato all’apertura dello sportello di Feltre: «E subito il numero di donne feltrine è aumentato», fa presente la presidente. Identica la ragione alla base dell’apertura dello sportello di Sedico, pensando soprattutto al bacino dell’Agordino. Per le donne vittime di violenza, arrivare sino a Ponte nelle Alpi, può infatti costituire un problema, anche perché spesso non hanno la disponibilità di una macchina e denaro. Oppure devono giustificare ogni loro piccolo spostamento. «Avvicinarsi noi il più possibile è la chiave giusta», sintetizza e spiega Anna Cubattoli. Sono quindi quattro gli sportelli – Ponte nelle Alpi, Belluno, Feltre e Sedico – in cui viene assicurato un lavoro enorme a garanzia e tutela delle donne dell’intera provincia. Obiettivi resi possibili grazie ai volontari e alle dipendenti già citate. 

FINANZIAMENTI
Ma che per essere duraturi devono avere la sicurezza di poter godere di finanziamenti. «Fino allo scorso anno i Comuni che davano una mano erano solo Ponte, Feltre, Sedico e Belluno», prosegue Cubattoli. La presidente poi precisa: «Il Comune di Ponte, da sempre, da quando siamo nate, ha pagato spese ed i locali messi a disposizione, il riscaldamento e le utenze. Dall’anno 2016 Feltre fornisce i locali e paga le utenze; Sedico si comporta allo stesso modo; Belluno, dove lo sportello è all’interno del Csv, il Comune paga l’affitto della casa rifugio di proprietà dell’Ater, ma non le utenze».

L’APPELLO
Tuttavia, tenendo conto che le donne che contattano BellunoDonna provengono da tutti i Comuni, l’associazione ha chiesto un contributo anche agli altri Comuni: «Anche perché quello che svolgiamo noi è un ruolo sociale, che diversamente ricadrebbe sulle finanze di ogni singola amministrazione», dice la presidente che svela: «Bene, di fronte alla richiesta di firmare una convenzione triennale – un periodo capace di assicurare un po’ di progettualità all’associazione – hanno risposto solo la metà dei Comuni bellunesi». E per questo Belluno-Donna quest’anno rinnoverà la richiesta. La convenzione prevede un contributo annuale pari a una somma compresa fra i 0,10 e 0,50 euro per abitante di ciascun Comune. Altre risorse arrivano dalla Regione, che tuttavia dal 2019 obbliga a destinare tutti i fondi esclusivamente per progetti di autonomia (corsi di italiano, rette scolastiche, tirocini), nessun contributo invece per il grande lavoro che le operatrici fanno al Centro nell’aiutare le donne: fra cui i colloqui allo sportello di orientamento al lavoro che facilita percorso di uscita da violenza, contattare le aziende, il pagamento dei tirocini che hanno poi lo scopo di vedere assunte le donne, raccolta fondi tramite mercatini, vendita libri, l’assistenza alle donne nelle due case rifugio presenti in provincia. Insomma: la strada percorsa è tanta. E insieme a quella ancora da percorrere, manca anche una più profonda presa di coscienza da parte di tutti del problema della violenza sulle donne. 

Ultimo aggiornamento: 07:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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