Paura del vento endemica, ma voglia di resistere: lo studio sul post Vaia

Martedì 24 Agosto 2021 di Federica Fant
Lo studio sul post Vaia: nuove paure per i bellunesi, ma voglia di resistere

LA FOTOGRAFIA

BELLUNO - La paura del vento che dopo Vaia è diventata ormai endemica nei bellunesi, che però non hanno abbandonato il loro territorio: sono rimasti qui, nonostante le ferite lasciate dall’uragano. E rimangono qui anche con la pandemia. Sono i primi risultati della ricerca coordinata dal Museo etnografico di Seravella di Cesiomaggiore e del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, finanziato nell’ambito dell’Accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Regione del Veneto per la valorizzazione dei territori colpiti dall’Evento Vaia in memoria della Grande Guerra e cofinanziato dalla Provincia di Belluno. In queste settimane un team di antropologi è al lavoro nei luoghi del Bellunese colpiti nel 2018 dalla tempesta Vaia, in particolare nel Feltrino, nell’alto Agordino e in Comelico. Lo studio è incentrato sul tema “Vivere in montagna dopo Vaia, come dopo il Covid. Jolanda Da Deppo è una etnografa di Domegge di Cadore ed insieme all’antropologa Daniela Perco, alla direttrice del Museo Cristina Busatta e all’antropologo visivo di Rovereto, Michele Trentini, con l’aiuto di altre persone, sta conducendo una serie di interviste.

I RICORDI «Raccogliamo memorie e ricordi. Con Vaia la montagna ha forse mostrato la sua fragilità mentre con il Covid probabilmente l’aspetto più benevolo, ovvero avere la disponibilità di luoghi dove non c’è grossa antropizzazione», spiega la dottoressa Da Deppo. E puntualizza che questi due fenomeni, Covid e Vaia, sono avvenuti in un arco temporale contenuto e quindi «non c’è una memoria cosi rielaborata». Una cosa è certa: «Per quanto riguarda la tempesta del 2018 nessuno degli intervistati ha riferito che è un motivo per andarsene via», dice la dottoressa Da Deppo. Lo spopolamento ricerca, quindi, altre motivazioni. «Le domande che abbiamo pensato riguardano soprattutto l’ambiente, la sensazione che si ha coi boschi distrutti. Col Covid, invece, cosa significa avere un bosco vicino e la montagna ha mostrato il lato positivo», spiega l’antropologa. Nessuno degli intervistati ritiene che la pandemia rappresenti uno sprone per tornare a vivere in montagna, «un pensiero che si basa su percezioni, non su ciò che i dati possono dimostrare», tiene a precisare Jolanda Da Deppo.

PAURA DEL VENTO Di Vaia ciò che ha lasciato il segno è il forte vento, una condizione «che probabilmente ha lasciato più tracce nelle persone. Quando spira il vento c’è un po’ d’ansia e inquietudine». C’è però anche un senso di rinascita, guardando la Val Visdende dove la natura si sta riprendendo. In questa valle ha scelto di operare Michele Trentini, antropologo visivo, un documentarista “la macchina da presa”: utilizza i video al posto della scrittura. «Quando ho visto la Val Visdende la prima volta sono rimasto folgorato. Una montagna marginale, che è stata colpita in maniera impressionante. Colpisce – fa sapere Trentini – la tenacia di alcune persone che vi vivono e lavorano. Resistono in un luogo che non solo ha affrontato Vaia, ma anche abbondanti nevicate e poi il Covid, che l’ha isolata».

LA RINASCITA La percezione che gli antropologi hanno colto qui è la rinascita. «Mi ha colpito la presenza delle istituzioni regoliere che gestiscono il territorio e sono coinvolte nei vari progetti di ripartenza – ricorda Michele Trentini, che più volte ha menzionato la grande ospitalità della gente di montagna incontrata -. La gente riflette su quale turismo desiderano. Si domandano: vogliamo un’invasione di turisti o Vaia e Covid sono una opportunità per ripensare al turismo più dolce?». Daniela Perco, antropologa di Feltre, già direttrice del museo etnografico di Seravella, ha indagato l’aspetto di Vaia e della pandemia in chiave un po’ più urbana. Ha effettuato interviste a Villaga, una delle frazioni più colpite di Feltre e nei prossimo giorni incontrerà l’assessore Addis Zatta, che ha seguito protezione civile e la prima emergenza. «Colpisce il terrore del vento - dice -, che prima non era così forte, anche se parlando con una signora che proviene da una famiglia contadina è emerso che già negli anni ‘40 Feltre venne colpita da un vento eccezionale che lasciò il segno». Alla dottoressa Perco interessa capire, a distanza di quasi tre anni, quale sia la percezione di ciò che è avvenuto.

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