Vaia 4 anni fa, Bottacin: «Ricostruzione gestita con le deroghe agli appalti»

Lunedì 24 Ottobre 2022 di Lauredana Marsiglia
I Serrai di Sottoguda dopo il disastro

BELLUNO - «Se non avessimo avuto leggi in deroga sugli appalti non saremmo riusciti a completare quasi il 70 per cento delle opere distrutte dalla tempesta Vaia: circa 1500 nel Bellunese.

La quota restante, trattandosi di lavori più complessi, è comunque avviata. In tre soli anni siamo riusciti ad appaltare, in tutto il Veneto, lavori per 1 miliardo 56 milioni di euro di cui il 65 per cento circa solo in provincia di Belluno, epicentro del disastro». Gianpaolo Bottacin, assessore regionale alla Difesa del suolo e alla Protezione civile, suo malgrado specializzato in dissesti di ogni natura, è stato il coordinatore dell’Unità regionale di crisi avviata già il giorno prima del disastro, ovvero lunedì 29 ottobre 2018.

Come fu possibile derogare al complesso codice degli appalti?
«Quando c’è un’emergenza il capo della Protezione civile, all’epoca Angelo Borrelli, ha mano libera nel definire le regole del gioco. Venne fatta un’apposita ordinanza che permise di superare gli stretti vincoli ambientali e paesaggistici per le opere minori. Quelle più importanti, invece, come i Serrai o il lago di Alleghe, sono andate a gara europea. Ricordo che il sottosegretario Roberto Morassut, del Governo giallorosso, mi convocò per chiedermi come avessimo fatto ad appaltare così tante opere in soli tre anni. Gli dissi di prendersi l’ordinanza di Borrelli. Poi è arrivato il Governo Draghi e tutto si è fermato. Ora spero venga ripresa per mano quella necessità di semplificazione».

Le deroghe interessarono anche l’enorme quantità di materiali da smaltire?
«Certo, e stiamo parlando, a spanne, di oltre un milione e mezzo di metri cubi. Anziché portarli in discarica come rifiuti speciali, con costi che sarebbero stati almeno di 3-4 milioni di euro, senza contare il via vai di camion e la necessità di trovare discariche, abbiamo potuto riutilizzarlo e riposizionarlo per fare altre opere come argini o piste».

I cantieri avviati hanno ricostruito solo le parti danneggiate o è stato possibile effettuare anche miglioramenti?
«Grazie alla modifica della vecchia legge sulla Protezione civile, avvenuta proprio nel gennaio del 2018, è stato possibile anche migliorare e ampliare le opere di difesa. E noi siamo stati i primi ad utilizzarla. Grazie a questa legge sarebbe stato possibile rifare anche il bailey di Belluno, i finanziamenti c’erano. Ma il sindaco di Belluno, Massaro, scelse altre strade, uscendo così dalla finestra temporale per rientrare nel finanziamento».

Quanto furono attendibili le previsioni meteo di quel disastro?
«Direi che i nostri modelli riuscirono ad essere precisi anche sulla velocità del vento, cosa molto difficile. Ricordo che l’Apav, già il giovedì, mi disse che sarebbe arrivata tanta pioggia sotto l’effetto del fenomeno chiamato downburst. Una cosa che qui non si era mai vista. Le raffiche di vento arrivarono ad oltre 200 km/h contro i 90/100 di una bora violenta, solo per fare un esempio. Non a caso il nostro modello venne elogiato anche dal presidente Sergio Mattarella quando venne in visita a Belluno».

Ma nessuno ebbe dubbi su quelle previsioni catastrofiche?
«Naturalmente. Anche il presidente Luca Zaia mi chiese se fossi certo, ovviamente mi ascoltò e mise subito in piedi l’Unità di crisi. La domenica mattina, ovvero il giorno prima del disastro, eravamo già pronti. La nostra forza, direi, chi è stata capillarità sul territorio della Protezione civile. Sarebbe stato impossibile intervenire senza i volontari che arricchiscono anche le nostre comunità, anche quelle più piccole. A livello veneto vennero colpiti 208 comuni tra i quali tutti quelli bellunesi».

Ciò che colpì di più l’immaginario di quella devastazione fu l’abbattimento di migliaia di alberi.
«È vero, ma in realtà questo fu una parte residuale del disastro: migliaia di cittadini rimasero senza collegamenti, riscaldamento e acqua. Franarono centinaia di chilometri di strade, molte vennero occupate dagli alberi caduti, briglie e argini distrutti, tralicci divelti. Inoltre vennero generati 120 nuovi siti valanghivi, proprio alle porte dell’inverno. Avviammo subito un piano d’intervento per evitare di evacuare 600 edifici nell’area dell’Agordino. Le piante vennero lasciate a terra, perché in grado di arginare la neve sotto il metro, oltre sarebbe stato necessario intervenire. Non ce ne fu bisogno, per fortuna».

Quale fu il punto debole di quella gigantesca macchina d’intervento?
«Sicuramente le comunicazioni radio, che sono poi state migliorate, così come le capacità di previsioni meteo piazzando un radar sul Rite».

Il governo come rispose, all’epoca c’era quello gialloverde?
«Rispose subito, mettendoci i soldi: 3 miliardi di cui 1 miliardo 56 milioni per il Veneto. E credete che non è cosa scontata. Tanti si lamentarono dell’arrivo di ministri come Matteo Salvini e Luigi Di Maio e poi ancora della presidente della Camera, Elisabetta Alberti Casellati, dicendo che facevano passerella, ma se la passerella è utile a portare soldi, allora ben venga».
 

Ultimo aggiornamento: 09:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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