Accusato di razzismo e coperto di insulti sui social: paga il suo funerale e si uccide. «Nostro figlio travolto dall'odio»

Mercoledì 9 Giugno 2021 di Davide Piol
Nicola Mina, si tolse la vita travolto dall'odio social
7

COMELICO SUPERIORE - Chi lo conosceva da vicino lo descrive come una montagna d’uomo, introverso, a volte burbero. Ma dietro quella scorza si nascondeva in realtà un ragazzo fragile, disponibile sempre ad aiutare chiunque ne avesse bisogno. Nicola Mina, 28enne del Comelico, si è tolto la vita a ridosso della prima udienza del processo che lo vedeva alla sbarra per tentato omicidio nei confronti di un venditore ambulante di origini senegalesi.

Un gesto premeditato perché, due mesi prima, si era addirittura pagato il funerale. Nicola però non aveva paura di affrontare i giudici né tanto meno di accettare le eventuali conseguenze penali di un gesto (si parla di una coltellata all’addome) che nessuno, nemmeno lui stesso, aveva mai messo in discussione. Come spiegano i familiari del giovane erano altri giudizi a spaventarlo. Quelli anonimi dei leoni da tastiera che, in un momento delicato, hanno cominciato a scavare dentro di lui con la vanga del razzismo e a lasciargli sempre meno spazio, finché non è stato più in grado di respirare. La storia assomiglia in parte a quella di Seid Visin, il calciatore ventenne di origine etiope che qualche giorno fa si è suicidato a Nocera Inferiore (Salerno). Entrambi sono stati avvolti dal fango del razzismo (anche se al contrario). I genitori di Seid hanno parlato di «strumentalizzazione» delle parole del figlio, aggiungendo che «il suo gesto estremo non è derivato da episodi di discriminazione razziale».

LA LETTERA

Anche nel caso bellunese è la famiglia di Nicola Mina, tramite una lettera, a spiegare ciò che è accaduto: «La risonanza mediatica e tutto l'odio social che gli è piovuto addosso l’hanno portato a una sofferenza interiore ed esistenziale da cui non è riuscito più a liberarsi fino ad arrivare al pensiero che togliersi la vita sarebbe stata l'unica soluzione». L’avvocato Danilo Riponti, che avrebbe dovuto assistere il giovane durante il processo, parla di una famiglia «con il cuore spezzato». Stravolti prima dalla coltellata all’ambulante e dalle inevitabili conseguenze di quel gesto e distrutti poi dal suicidio del figlio. «Pur con un dolore atroce e ormai invincibile nel cuore – spiega Riponti – sentono il dovere morale di restituire a Nicola una verità diversa da quella emersa finora. Non vogliono creare contenziosi ma far capire che un singolo commento può distruggere la vita delle persone». Il fatto da cui trae origine questa storia dolorosa risale all’agosto 2020. All’interno di un bar, a San Pietro di Cadore, scoppia un lite tra Nicola Mina e un venditore ambulante di 47 anni, senegalese e residente nel Trevigiano. I due escono all’aperto, volano insulti e al culmine della discussione il giovane tira fuori un coltellino e ferisce l’uomo all’addome. Viene chiamata un’ambulanza. Il taglio non è mortale e il 47enne si riprenderà. Nel frattempo se ne apre un’altra di ferita, più interna, perché Nicola riceve una valanga di insulti sui social che lo descrivono come un “giovane razzista e violento”.

L'ODIO SOCIAL

Nei mesi successivi chiederà spesso al suo legale il perché di quell’odio ingiustificato. «Anche se era un gigante, Nicola era estremamente sensibile – ricorda Riponti – Aveva avuto un passato doloroso, era provato dalle esperienze della vita, ma di certo non era razzista. Nel processo ci sarebbero stati numerosi testimoni extracomunitari». Ragazzi tunisini, marocchini, albanesi, nigeriani: persone che avevano lavorato con Nicola e che erano state aiutate da lui in momenti di difficoltà: «Era una persona burbera ma se poteva dava una mano. La versione del razzista xenofobo che insegue persone di colore era lontana anni luce da lui». Un’immagine che, però, gli è piombata addosso con una tale forza da non lasciargli scampo. Pochi giorni prima del processo e alla vigilia del suo 29esimo compleanno Nicola Mina ha deciso di chiudere gli occhi per sempre davanti a quel fango che non lo lasciava più respirare e si è tolto la vita. «Certo aveva sbagliato ed era pronto a pagare la giusta pena per il suo errore – scrivono i familiari – A questo punto è doveroso riflettere sulle conseguenze di una gogna mediatica in cui non c'è difesa per chi ne rimane stritolato e che andrebbe perseguita per il bene di una società civile». E concludono: «Ci auspichiamo che questo tragico epilogo sia di monito per il futuro nella speranza che ci sia più umanità e rispetto per tutti coloro che possono aver sbagliato ma che non devono essere sottoposti a condanne mediatiche insensate che distruggono la loro anima e la loro vita come pure quella dei loro cari».

Ultimo aggiornamento: 16:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci