In coma dopo l'operazione alla gamba, il caso di Samantha D'Incà. L'esperto di bioetica: «Situazione irreversibile? Pochi 7 mesi per dirlo»

Venerdì 28 Maggio 2021 di Nicoletta Cozza
Ragazza in stato vegetativo: «Staccate la spina a Samantha». Englaro: «Situazione infernale per i genitori»
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BELLUNO - Sette mesi ai familiari possono sembrare un tempo infinito se trascorsi nella sofferenza più profonda, con la speranza di un recupero che si affievolisce giorno dopo giorno. Per la Scienza e per la Chiesa, però, non sono poi così tanti. Di sicuro non sufficienti per stabilire con certezza se una persona in stato vegetativo non abbia più margini di recupero e quindi debba essere privata dell'alimentazione e dell'idratazione che la tengono in vita. Ed è proprio questo il caso di Samantha D'Incà, la ragazza bellunese di trent'anni, in coma da oltre 200 giorni dopo un intervento chirurgico alla gamba e ricoverata ora in un reparto di lungodegenza di Feltre: il padre Giorgio, carrozziere di Arsiè, sta combattendo la battaglia più difficile che il destino possa riservare a un genitore, finalizzata a staccare la spina, come, a suo dire, la ragazza avrebbe voluto. Per lui, infatti, anche se respira e apre gli occhi, è morta il 4 dicembre quando è precipitata nel tunnel dell'incoscienza senza più riprendersi. Ha invocato per lei l'eutanasia in tutte le sedi: all'Ulss, firmando una liberatoria per far sì che i medici le tolgano flebo e sondino; davanti al giudice, sostenendo che la volontà della giovane, espressa però solo verbalmente, sarebbe stata di rifiutare qualsiasi tipo di accanimento terapeutico, qualora si fosse trovata nella situazione in cui è adesso, preferendo la morte alla mancanza di coscienza e all'immobilità su un letto. In attesa del pronunciamento del tribunale di Belluno, intanto, fa fede il parere del Comitato Etico, secondo il quale, invece, non ci sono le indicazioni per interrompere nutrizione e idratazione artificiali. Un luminare di Innsbruck, il professor Leopoldo Saltuari, convocato per una consulenza, ha affermato che ha le facoltà di un neonato di un mese e dopo la riabilitazione potrebbe arrivare a quelle di un bimbo di tre.
Sulla drammatica vicenda abbiamo chiesto un parere a un autorevole esperto di Bioetica, cioè padre Carlo Casalone, gesuita e medico, consulente scientifico della Pontificia Accademia per la vita, docente di Teologia Morale alla Pontificia Università Gregoriana.


Padre Carlo, da uomo di Chiesa e di Scienza, che riflessione si sente di fare di fronte alla richiesta della famiglia di Samantha che chiede l'eutanasia?
«Innanzitutto va precisato che bisognerebbe vedere le cartelle cliniche della paziente, perché all'interno della grande categoria dello stato vegetativo c'è una molteplicità di situazioni neurologiche differenziate e quindi solo sulla base di valutazioni accurate si può avere un'idea precisa sulle condizioni della ragazza.

Però un paio di considerazioni si possono fare in modo incontrovertibile».


E cioè?
«Intanto che 7 mesi sono pochi per definire la situazione irreversibile, anche perché si tratta di un soggetto giovane. E poi mi sento di affermare che se il Comitato etico, che ha una conoscenza precisa delle condizioni della malata, esprime un parere, nella fattispecie contrario all'eventualità di sospendere alimentazione e idratazione, ci si debba attenere al suo giudizio, che si basa su valutazioni effettuate da un team multidisciplinare competente. Tra l'altro il Veneto è una delle poche regioni a disporre di un organismo di questo genere, che dà indicazioni a ragion veduta».


Il padre sostiene che la figlia è deceduta il giorno in cui è entrata in coma e che in passato si era espressa contro l'accanimento terapeutico.
«La vita non è terminata, la ragazza è vivente perché non è stata dichiarata la morte cerebrale, come peraltro sostiene pure il Comitato etico. Quanto alle affermazioni attribuite alla giovane, diventa difficile accertarne le volontà in assenza di uno scritto. E quindi, in mancanza di una posizione esplicita, prevalgono le misure di tutela della vita. Esprimersi contro l'accanimento terapeutico non precisa ancora quali siano le condizioni concrete in cui questo avviene».


E quindi secondo lei come si dovrebbe procedere?
«Effettuando approfondimenti e studi clinici ulteriori. Ripeto, pur non conoscendo i dettagli, ritengo sia doveroso procedere in questo modo. E il Comitato Etico è in grado di darci le informazioni più complete per un giudizio attendibile».

Ultimo aggiornamento: 09:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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