Rapinata a 74 anni in casa: «Pensavo che mi avrebbero ammazzata»

Giovedì 28 Novembre 2019
Rapina a Santa Giustina
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SANTA GIUSTINA- «Erano molto cattivi: in quel momento mi sono detta questi mi ammazzano». Aveva ragione ad avere paura Liliana Tessaro, 73enne di Formegan, che il 23 gennaio 2017 venne rapinata nella sua casa e chiusa nel sottoscala da tre banditi incappucciati e armati di pistola e coltello. Una banda di operai kosovari sicuramente poco raccomandabili, secondo quanto sostenuto dall’accusa con una foto, spuntata ieri in aula. Nell’immagine c’è un bimbo di 8 anni che imbraccia una mitragliatrice e poi prende una pistola. Vicino a lui Bjci Arsin, il proprietario del furgoncino utilizzato nella rapina, che però è estraneo al colpo. Si alterna con il minore prendendo in mano, a sua  volta, pistola e mitragliatrice. Una foto tenuta tranquillamente, accanto a quelle dei piatti gourmet o delle vacanze, nel cellulare di Mentor Zenelaj, 43enne di San Zenone degli Ezzelini, alla sbarra per la rapina di via Portin. Con Zenelaj alla sbarra, di fronte al Tribunale in composizione collegiale di Belluno, ci sono altri due componenti, latitanti da anni: Muse Morina, 43enne di Fonte dove abitava in via Monsignor Berti 7, ma dove non si è più visto e Besim Gashi, 32enne di Santa Giustina, residente in via del Cristo, 8. Sarebbe proprio lui la “mente” della rapina, ma dopo aver confessato e portato i carabinieri sulle tracce degli altri componenti, si era reso latitante. Le accuse per i tre kosovari (difesi dagli avvocati Sandro Silvestri per Zenelaj, Sonia Rinaldo per Morina, Paolo Aspodello per Gashi) sono di rapina aggravata in concorso, del porto del coltello. Quel giorno erano in 6: gli altri tre hanno già definito le loro posizioni. Hanno patteggiato Xhevdet Maliqi (2 anni e 6 mesi) Elvidon Gashi (2 anni e 20 giorni), residente proprio in via Portin vicino alla vittima. Venne condannato a due anni in abbreviato Fidan Spahiu, 33 anni, di San Zenone degli Ezzelini, l’uomo che avrebbe tenuto ferma Liliana Tessaro sotto la minaccia della pistola.
LA TESTIMONIANZA
«Era alto come me - ha spiegato ieri ai giudici, la Tessaro - mi ha bloccato le braccia e mi ha puntato una pistola. Mi disse “non parlare o altrimenti...”, tanto che io pensai sono a casa mia e non posso parlare». Tre banditi saltarono la recinzione poi suonarono il campanello. La donna aprì e se li trovò davanti: due con il passamontagna nero, uno travisato con cappuccio bianco. La rinchiusero nel sottoscala con il cagnolino e cominciarono a cercare la presunta cassaforte. «Io non avevo cassaforte - ha detto la donna -, ma dissi loro: “prendete tutto quello che volete basta che non fate del male a me o al mio cane”».
LE INDAGINI
Ha parlato poi il comandante del Norm della Compagnia di Feltre, luogotenente Alberto Cominelli, che fece le indagini. Tramite intercettazioni ricostruirono quella serata: la banda arrivò dal Trevigiano e si trovò in un bar a Lentiai, da lì poi scattò il piano. Il 15 maggio 2017 la perquisizione nelle case dei kosovari tra Trevigiano e Bellunese: vengono rinvenuti 90 pezzi tra bracciali e collane, 32 vengono riconosciuti da Liliana Tessaro. «Trovammo anche attrezzi che erano spariti dai cantieri in Alto Adige e scoprimmo anche dei furti. Il gruppo, tutti operai kosovari, si spostava giornalmente sul furgoncino Opel per andare a lavorare», ha concluso Cominelli. Lo stesso furgone che venne utilizzato poi per la rapina, dopo il lavoro. Si torna in aula l’11 dicembre.
Ultimo aggiornamento: 08:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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