La difesa di Bianchini: «Dopo la Thailandia, ho avvisato subito il servizio di prevenzione»

Martedì 13 Ottobre 2020 di D.P.
La Procura di Belluno

BELLUNO «Ho informato immediatamente il Servizio di prevenzione riguardo al mio viaggio all'estero, specificando che non vi erano contagi sull'isola e che non avevo frequentato luoghi affollati». Sono state queste, più o meno, le parole che il dottor Roberto Bianchini ha rivolto alla commissione interna dell'Usl 1 Dolomiti incaricata di indagare sul suo comportamento dopo il rientro dalla Thailandia.

Le spiegazioni presentate dal primario, unite alla mancanza di sintomi simil-covid, hanno convinto i medici non solo a farlo rientrare al lavoro ma ad archiviare anche il procedimento disciplinare a suo carico.

LA TESI DEL GIUDICE Secondo il giudice per le indagini preliminari non c'è prova che la commissione conoscesse tutte le altre circostanze, ossia che Bianchini avesse lavorato con la febbre, che avesse visitato i pazienti senza mascherina, etc. Quindi la decisione di archiviare l'indagine interna, presa dall'Usl, è stata legittima. L'atteggiamento della direzione sanitaria durante le indagini della Procura è stato però definito «scarsamente collaborativo». È ciò che emerge negli atti del pm riguardanti l'inchiesta per epidemia colposa aggravata. Cinque i medici indagati, tra cui il primario Roberto Bianchini. La sua è la posizione più grave. Mentre agli altri quattro, Raffaele Zanella, Antonella Fabbri, Cristina Bortoluzzi e Tiziana Bortot, componenti dell'Ufficio procedimenti disciplinari dell'Usl 1 Dolomiti, viene contestato il reato di falso perché lo avrebbero coperto.

LA SEGNALAZIONE A far partire il procedimento disciplinare interno è stato il direttore sanitario Giovanni Maria Pittoni dopo aver scoperto la positività del dottor Bianchini ed essersi consultato con il direttore generale Adriano Rasi Caldogno. La documentazione prodotta è stata consegnata alla Procura ma, si legge negli atti del pm, «è risultata di difficile analisi da parte della polizia giudiziaria in quanto poco chiara e incompleta». Inoltre, dopo lo scoppio del focolaio, l'azienda sanitaria ha deciso di «eseguire i tamponi a tappeto sul personale sanitario coinvolto e venuto a stretto contatto, al fine di permettere agli stessi di proseguire l'attività lavorativa con l'emergenza in atto». E non invece di «individuare chi fosse stato il caso indice all'interno dell'ospedale e, soprattutto, le cause della sua positività».

LA VERSIONE DELL'USL Insomma, un atteggiamento che non è stato condiviso da chi ha svolto le indagini. L'Usl 1 Dolomiti ha però spiegato di aver assicurato, fin dall'inizio, «la massima disponibilità agli inquirenti, mettendo doverosamente a disposizione gli atti e la documentazione richiesti». Per quanto riguarda i singoli provvedimenti che potrebbero riguardare professionisti e dirigenti dell'azienda sanitaria bellunese, la Direzione ha dichiarato «di non avere elementi e informazioni sufficienti per commentare i fatti. Si rinnova peraltro la fiducia su quanto i giudici hanno valutato e valuteranno sulla base dei fatti e delle situazioni che emergeranno nelle sedi giurisdizionali appropriate».

I SINDACATI Contro il comportamento di alcuni medici bellunesi, tenuto durante l'emergenza sanitaria, ha puntato il dito anche Gianluigi Della Giacoma, segretario generale Fp-Cgil. «A inizio pandemia abbiamo fatto il possibile in una situazione eccezionale ha premesso Della Giacoma, poi è passato all'attaccato I medici sono stati i primi a sottovalutare il problema. Prima del focolaio all'ospedale di Belluno ci sono stati quelli a Feltre, iniziato da un medico chirurgo, e ad Agordo dove sono stati infettati sette medici su otto. Ho saputo pochi minuti fa che ci sono vari positivi tra il personale sanitario dell'ospedale di Pieve di Cadore ha ammesso Della Giacoma Precisamente sette. L'attenzione è calata. Giusto che si indaghi. Estenderei l'indagine anche agli altri ospedali e alle case di riposo». 

Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 00:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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