«Sei posseduto dal demonio»: prete-esorcista condannato a un anno

Martedì 22 Giugno 2021 di Davide Piol
Al termine del processo a don Giovanni Brancaleoni il giudice ha emesso la sentenza di condanna
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BELLUNO - Condannato a un anno di reclusione il prete esorcista Giovanni Brancaleoni. L’anziano 78enne, residente a Este (Padova), era imputato di atti persecutori e calunnia nei confronti di un 39enne con gravi disturbi psichici (avvocato Giulia Munerin) e di Pamela Bulfari (avvocato Stefano Bettiol), all’epoca responsabile della struttura di Pullir, a Cesiomaggiore.


IN AULA
Il giudice ha disposto anche un risarcimento danni a favore delle parti offese pari a 13mila euro (8mila per il 39enne, 5mila per la dottoressa) e il rimborso delle spese di costituzione di parte civile liquidate in 3.420 euro. Brancaleoni, ieri, non ha assistito alla fine del processo. Nell’udienza precedente aveva raccontato al giudice di essere «stanco e provato» e di aver fatto di tutto per salvare il 39enne. Ma da cosa e da chi? Secondo il prete, quell’uomo «era stato chiuso in gabbia come una bestia feroce» in una struttura che «veniva gestita come un lager». Purtroppo, però, era state le sue continue incursioni, dal 2013 al 2019, a peggiorare il già fragile equilibrio del paziente. Brancaleoni cercava di portargli farmaci, vestiti e cibo di nascosto. Ogni tanto cominciava a predicare messa, con il megafono, e a chiamarlo a gran voce. Il 39enne doveva essere salvato perché «si trovava prigioniero del demonio». Peccato che, con questo suo comportamento, finiva quasi sempre per infastidirlo e creargli delle vere e proprie crisi in cui cercava di farsi del male. Massimo Semenzin, direttore del dipartimento di Salute Mentale, aveva ripercorso in aula i progressi fatti dal 39enne da quando si trovava in struttura: «Inizialmente poteva essere paragonato a un “animale selvatico”, ma nel corso del tempo aveva segnato decisi miglioramenti nella gestione della propria aggressività». Tuttavia, dopo le visite della madre e del prete, diventava una persona «inaccessibile, accartocciato su sé stesso e sui suoi pupazzi». Un’altra testimonianza chiave era stata quella di Pamela Bulfari, difesa dall’avvocato Stefano Bettiol. La direttrice della struttura di Pullir aveva aggiunto che il paziente era diventato molto violento e aveva delle bende ai polsi per evitare di aggredire gli operatori. «Nonostante gli ordini del Giudice Tutelare – aveva raccontato – il prete e la madre si recavano nella struttura e continuano a farlo ancora adesso.

Portano cibo, libri, cioccolatini. A volte gli fanno ricevere delle fotografie modificate: foto del 39enne con le labbra dipinte di rosso o foto della madonna con i capelli azzurri. Molto inquietanti». Nel 2018, all’apice della sua follia, il prete aveva chiuso il cancello della struttura di Pullir con dei cavi di ferro e disposto a semicerchio, nel parcheggio, un numero imprecisato di sacchetti della spazzatura. Dal momento che aveva con sé delle taniche, si pensava che volesse inscenare una sorta di esorcismo ed erano state avvertite le forze dell’ordine. 


LE OFFESE
Numerose, inoltre, le offese nei confronti di Pamela Bulfari e degli operatori della struttura. Brancaleoni li accusava ingiustamente di maltrattare, ferire e tenere segregato il 39enne. Ieri mattina, in Tribunale a Belluno, si è svolta la discussione finale. Il pubblico ministero ha chiesto la condanna dell’imputato a 1 anno e 8 mesi di reclusione. Considerata la calunnia il reato più grave, il magistrato è partito dalla pena di 1 anno e 4 messi, ha concesso le attenuanti generiche per l’età e il fatto che è prete, aggiunto tre mesi per gli atti persecutori e un ulteriore mese per la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Le parti civili si sono associate alle richieste del pm mentre la difesa dell’imputato ha seguito la linea di Brancaleoni descrivendo la struttura di Pullir come un “lager”. Qualche ora dopo è arrivata la sentenza del giudice: un anno di reclusione. 

Ultimo aggiornamento: 17:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA