Renzo, il perito agordino che sta ricostruendo il ponte di Genova

Venerdì 7 Febbraio 2020 di Raffaella Gabrieli
Renzo Rossi, il perito agordino che sta ricostruendo il ponte di Genova
SAN TOMASO  - Renzo Rossi orgoglio di San Tomaso. Il nascente ponte di Genova, quello disegnato dall’architetto Renzo Piano, vede infatti come capocantiere il perito minerario nato e cresciuto ai piedi del Sasso Bianco. Una bella responsabilità quella che porta sulle spalle il 51enne dipendente della Salini Impregilo: dar vita all’opera che prenderà il posto di quella crollata il 14 agosto 2018. Ma Rossi non teme le sfide, rivendicando con orgoglio le origini montanare: «Acqua, neve, ghiaccio e vento non mi fanno paura». In tasca il diploma dell’Istituto “Umberto Follador” di Agordo. Proprio come “mister dinamite”, quel Danilo Coppe chiamato in Liguria per abbattere ciò che restava del manufatto “schiantato” che provocò 43 vittime. 
LA GIORNATA TIPO 
«Mi sveglio alle 5 di mattina - racconta Rossi -; alle 5.30 parto e in mezzora sono in cantiere. Quando arrivo a destinazione, tra gru e impalcature, parlo da solo. Non a voce alta, ma in silenzio. E faccio vari ragionamenti e commenti su quello che vedo: su ciò che è stato fatto e su ciò che dovrà essere fatto. E immagino il futuro, giorno dopo giorno, perché ho in testa tutto il lavoro, fino all’ultimo bullone da stringere». L’esperienza, a Rossi, non manca. «Ho iniziato questa professione 30 anni fa - ricorda - Prima del ponte di Genova ero in campo sul terzo valico in Piemonte. E prima ancora sulla Pedemontana lombarda e sull’alta velocità ferroviaria Torino - Milano e Bologna - Firenze. Il bello di questo lavoro è la velocità di prospettiva: oggi si assiste a una situazione che domani sarà già in buona parte diversa». 
L’OPERA
I lavori, a Genova, stanno procedendo a spron battuto. Le pile sono quasi terminate: tempi record per la realizzazione delle grandi sculture di cemento che in alcuni punti raggiungono un’altezza complessiva di circa 90 metri, una profondità di 50 e una superficie di 45. Ora, proprio in questi giorni, toccherà al cosiddetto “impalcato”, composto da tre travi lunghe 100 metri. «Nel giro di pochissimo - spiega Rossi - ci occuperemo della prima, che è in fase di assemblaggio a Ponente. Nel frattempo, preventivamente, devieremo il torrente Polcevera, sperando si abbassi, confinandolo tutto da una parte. Saranno poi create delle piazzole di lavoro dove mettere i carrelli. A quel punto la trave verrà portata avanti scavalcando la strada. Con i carrelli che avremo a disposizione, con delle torri provvisorie, essa verrà presa in carico e poi traslata fino in prossimità della pila numero 10. Dopodiché, una volta che sarà interamente pronta, in testa alle pile saranno realizzati degli attrezzaggi dove montare delle macchinette che faranno il sollevamento». 
L’OBIETTIVO
«Siamo qui per un motivo ben preciso - sottolinea Rossi - ricostruire ciò che all’improvviso è crollato. Quando accadde il fatto io mi trovavo in California: avevo appena concluso la mia prima maratona. Con me c’era mia figlia Gaia. Vedendo le drammatiche immagini del crollo non riuscivamo a capacitarcene: abbiamo pensato fosse impossibile un’implosione naturale, piuttosto un attentato. Eravamo a 10mila chilometri di distanza da Genova e le ho detto: “Vedrai che in poco tempo qualcuno lo ricostruirà. Vuoi vedere che lo rifaremo noi di Impregilo?”. E quando mi è stato annunciato l’incarico, la prima persona che ho chiamato è stata proprio Gaia, per condividere con lei questo nuovo inizio». «Per me questo non è un cantiere normale - evidenzia - perché le immagini del crollo mi hanno lasciato un profondo segno. Un segno che regna per tutta la giornata. E poi per tutte le settimane e i mesi della durata del progetto. Quello che si è instaurato con questa terra è un legame introspettivo oltre che materiale. Con i miei uomini - in tutto circa cinquecento - c’è un grande rapporto di stima e di collaborazione e di importanti risultati perché insieme abbiamo fatto grosse cose. Spero di poterne condividere molte altre. La fase più bella è la fine del cantiere perché dopo tanti sacrifici, lunghi anche anni, si possono godere le soddisfazioni. Sulle spalle sento un grosso impegno e un altrettanto peso per le responsabilità che ha in sé. Però sono consapevole che ce la faremo. Sono un montanaro di origine e ne sono fiero: acqua, neve, ghiaccio e vento non mi fanno paura». Lo si vede spesso Rossi a San Tomaso, dove torna per respirare l’aria di quand’era ragazzo. Perché se è vero che le esperienze professionali l’hanno portato un po’ ovunque in giro fin da quando aveva vent’anni, è vero anche che il cuore è sempre là, nella natìa frazione di Celat.
 
Ultimo aggiornamento: 08:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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