Denunciò il violentatore della sua bimba: donna isolata dalla comunità musulmana

Sabato 6 Luglio 2019 di Olivia Bonetti
Denunciò il violentatore della sua bimba: donna isolata dalla comunità musulmana
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Il condannato per un reato gravissimo come abusi sessuali su minore è lui, ma la “pena” la sta scontando lei. È il paradosso che sta vivendo una mamma 50enne bellunese, di religione musulmana, che non può più frequentare la sua comunità religiosa e la moschea. La donna nel 2013 aveva denunciato l’amico di famiglia, che avrebbe compiuto, in una casa della Valbelluna, atti sessuali su sua figlia, all’epoca dei fatti in seconda elementare. La condanna di secondo grado (non definitiva) è arrivata dopo la battaglia durata anni della 50enne, assistita dai suoi avvocati Resenterra e  D’Agostini di Feltre (l’inchiesta sulle presunte violenze all’altra figlia ancora più piccola era stata archiviata perché all’epoca non è stata ritenuta in grado di testimoniare). Ma questo non basta alla comunità, che crede all’imputato. Lui si era difeso in aula dicendo che mai avrebbe potuto compire quegli atti perché «musulmano osservante che sa quale siano i principi della sua religione e i castighi previsti per chi non cura la prole».
LA “CONDANNA”
La giustizia per le violenze alla bambina di seconda elementare sta facendo il suo corso: a carico di B. L., 47enne marocchino residente a Ponte nelle Alpi (Bl), sono già state pronunciate due sentenze conformi. «Cinque anni di reclusione oltre a 50mila euro di risarcimento alla vittima», hanno detto i giudici del Tribunale di Belluno e della Corte di Appello di Venezia. Ma la comunità musulmana, per ora, non ha preso posizione. L’imputato, che non ha mai fatto un giorno di galera, continua a frequentare la moschea. Anzi, in alcuni casi, c’è chi mette in dubbio le parole della donna, o meglio quelle del giudice. «Uscita la sentenza di secondo grado - racconta la 50enne - qualcuno ha iniziato a diffamare me e mia figlia dicendo che ci siamo inventate tutto. Per questo la comunità musulmana, che crede alle sue parole, ha isolato noi, dando credito a lui nonostante gli esiti del giudizi penale. Insomma oltre al danno la beffa». 
LO SFOGO
«Cosa devo fare - dice la donna disperata - perché mi credano? Tappezzare la città con la sentenza?». «Anche dopo una doppia condanna conforme - prosegue - la mia comunità non mi crede. Credono alle sue parole, alla sua professione di innocenza». Il Ramadan per lei è stato una sofferenza: non poter stare con la comunità, pregare insieme. «Non posso più andare lì, vedermelo di fronte, e sentire che nessuno mi crede - prosegue -. Sua moglie crede a lui e così tutti gli altri. Ci additano e ci lasciano sole. Ritengo invece che la comunità debba prendere le distanze, perché si sa poi che quando si parla di musulmani è facile generalizzare. E così si presta solo il fianco a chi vuole gettare fango sulla nostra religione». «Dovrebbero invece ricordare - sottolinea la mamma, disperata - che mia figlia, ad oggi non ha superato il trauma e se lo porterà avanti per tutta la vita».
LA COMUNITÀ
«L’associazione è aperta a tutti e non c’è nessun vincolo per nessuno», sottolinea Aziz Amari, uno dei referenti della comunità musulmana bellunese. «Quello che è stato riportato - prosegue - non c’entra niente con noi, sono solo argomenti personali, che non entrano in moschea. Sono dicerie da bar e se vado nei bar ci sono dicerie di ogni genere. Il fatto che magari qualche famiglia non le parla più sono questioni personali e di questo non discutiamo durante i nostri incontri. Nei nostri centri (sono 5 nel Bellunese a Ponte nelle Alpi, Santa Giustina, Feltre, Belluno e Lentiai ndr) non si discute di queste cose. Non abbiamo preso alcuna posizione e non abbiamo trattato l’argomento». E cosa succederà se la sentenza diventerà definitiva? «Noi aspettiamo le sentenze definitive - risponde Aziz -: se verrà confermata, verrà allontanato. Quando sarà, andranno due persone da lui e gli diranno chiaramente che non vorranno averlo insieme a noi». 
Ultimo aggiornamento: 13:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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