Lasciano la Germania e tornano a Misurina per riaprire l’albergo costruito dai nonni

Mercoledì 25 Agosto 2021 di Davide Piol
Antonio Vecellio Taiarezze e Ida Zandegiacomo Bonel fanno rivivere il sogno dell'hotel del nonno
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AURONZO -  Il richiamo era troppo forte. C’era quell’albergo, a Misurina, costruito dal nonno nel paese delle Tre Cime di Lavaredo, in provincia di Belluno. Aria pulita, verde a perdita d’occhio e un senso di pace che solo la montagna sa regalare. Il sogno era quello di prendere in mano la struttura, darle nuova vita e riaprirla al pubblico. Ma Antonio Vecellio Taiarezze e Ida Zandegiacomo Bonel, di 47 e 44 anni, originari di Auronzo di Cadore, lavoravano in Germania come gelatai. Dopo 17 anni - l’hotel era stato chiuso nel 2004 - hanno deciso di sfidare il destino. Sono tornati a Misurina, hanno ristrutturato lo “Chalet Alpenrose” e riacceso quel fuoco che aveva spinto il nonno, 41 anni prima, ad aprire un albergo tra le Dolomiti. «Il covid – spiega Ida – ci ha posto degli interrogativi, dato che l’investimento era importante, ma siamo consapevoli che Misurina è una perla ed è qui che vogliamo vivere. Quando arriviamo al lavoro ci si apre il cuore». 

LA STORIA
Lo Chalet Alpenrose, costruito nel 1963, è stato gestito quasi esclusivamente da Luigi Vecellio Taiarezze (il nonno di Antonio) e dalla moglie Renata fino a che, con l’avanzare dell’età, non hanno passato il testimone al figlio. Ma alla morte di quest’ultimo, nel 2004, non c’era nessuno disposto a continuare e la struttura è stata chiusa. «Noi avevamo una gelateria in Germania – racconta Ida – e non potevamo tornare. Poi ci è venuta l’idea di sistemarla e soprattutto di tornare dove siamo nati, che era sempre stata la nostra volontà. Quindi abbiamo riaperto il bar, a tutti non solo ai clienti, e rifatto la parte alberghiera puntando su una cosa che a Misurina mancava». 

LA SCELTA
Ossia l’appartamento turistico. Ce ne sono otto, con spazi che oscillano dai 46 agli 80 metri quadrati e ampie finestre per godersi la natura che circonda lo chalet. Ida rivela che i turisti le chiamano «quadri naturali» e sono una delle peculiarità del posto che apprezzano di più: «Volevamo ricreare qualcosa di bello, nuovo e attuale, perciò abbiamo iniziato a fare le progettazioni. Ma è stato un anno difficile». Nel settembre 2020, durante uno scavo, viene trovata una bomba della prima guerra mondiale che rende necessario l’arrivo degli artificieri. Poi un inverno che, ad Auronzo, è durato fino a pochi mesi fa e ha fatto slittare i lavori e l’apertura. E a far perdere, di fatto, metà stagione estiva. Ma la neve non è stata l’unico inconveniente: a mettere i bastoni tra le ruote ci hanno pensato un anno di pandemia e i tanti blocchi sulle materie prime. Alla fine, però, tutto è andato per il meglio. 

LA PECULIARITÀ
Osservando gli appartamenti, costruiti in legno, si può notare che alcune travi sono di un colore diverso. È il legno che arriva dagli schianti di Vaia. «Questo ci rende orgogliosi – sottolinea Ida - parte di quel materiale è stato recuperato e fa parte del nostro chalet.

Sono strutture che non impattano e che si inglobano benissimo nella natura circostante». La coppia di Auronzo ha ricevuto una valanga di telefonate e di prenotazioni. Anche da persone che erano passate in auto un anno fa e avevano visto il cantiere. Ci sono italiani, tedeschi, polacchi, tra qualche giorno arriveranno anche americani. «La nostra idea – dice Ida – è di tenere aperto fino a novembre, covid permettendo, poi chiudere per completare i lavori e riaprire a Natale. Nel futuro ci sono tante incognite. Questo, comunque, era il nostro sogno e ci abbiamo sempre creduto».

Ultimo aggiornamento: 26 Agosto, 10:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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