Il manager: «Così vendo i tronchi schiantati ai cinesi»

Mercoledì 30 Ottobre 2019 di Andrea Zambenedetti
Massimo Maugeri
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BELLUNO - ​Massimo Maugeri, lei è un manager della multinazionale Duferco Biomasse, quella che ha acquisito la quota maggiore di legno schiantato da Vaia. Quanto ne avete preso?
«Noi ne abbiamo comprato 360mila metri cubi tra Grigno e Enego nella piana di Marcesina. Complessivamente in quell'area ne sono caduti 620 mila metri cubi. Con il sistema dei container possiamo spedirne anche 3mila metri cubi a settimana verso la Cina».
Avete in programma di comprarne altro?
«(Sorride)La situazione è estremamente difficile, non mi sento di rispondere a questa domanda. In questo momento penso di no, non è un'operazione semplice. Per far scendere il legno da lassù, un quantitativo così rilevante, c'è un problema di costi. Ogni volta che si tocca un tronco il costo aumenta. Prima c'erano i timori per il bostrico, poi i camion contingentati. I limiti imposti per favorire il turismo. La burocrazia, la necessità di uniformare i patentini degli operatori. Il paradosso è che per essere in regola abbiamo dovuto fare nuova formazione a gente molto più preparata di noi. Ci sono anche zone in cui non riusciamo a intervenire perché non c'è copertura telefonica. Senza ripetitori non si può lavorare. Poi abbiamo operatori di ogni nazionalità, per ciascuna abbiamo fatto dei manuali di come si opera nel bosco».
Come mai avete scelto quell'area?
«All'inizio ero salito in Valvisdende. Ho un'amica di Padola, mi ha messo in contatto con le Regole. Quando sono venuto ho fatto anche dei pranzi con loro, secondo me pensavano alla multinazionale come il grande nemico e quindi si sono un po' spaventati. Poco importa l'importante è che abbiano trovato una soluzione».
Ma il vostro obiettivo non è il profitto?
«Non abbiamo fatto beneficenza, stiamo guadagnicchiando ma il motivo del nostro intervento è la tutela del mercato. E' stata una scelta, noi siamo una family company che ha scelto di investire oltre che sull'acciaio anche sulle rinnovabili. Forniamo cippato a tutte le aziende che fanno rinnovabili in Italia. Quindi alle centrali. Quando abbiamo visto il disastro di Vaia ci è venuta la volontà di aiutare il territorio utilizzando la disponibilità finanziaria che avevamo».
Insomma non siete stati a guardare?
«È chiaro che quando ti arrivano nel mercato otto milioni e mezzo di metri cubi di legno diventa tutto difficile. Se entra nel mercato un volume elevato di cippato cosa facciamo? Chiudiamo le imprese che lavorano in Toscana per i prossimi cinque anni? E poi cosa succederà? Non potevamo stare a guardare. Prima di Vaia pensavamo di dover comprare cippato dall'estero. Ora per anni non si taglierà e andremo in difficoltà dobbiamo pensare a come bilanciare il settore».
E quindi avete comprato per vendere ai cinesi?
«Garantiscono una tenuta nei prezzi ma in questo momento stiamo gestendo molte contestazioni a causa di un fungo e poi il legno dev'essere fumigato per il bostrico. Abbiamo allestito un piazzale a Mestre per farlo».
Ma c'è il rischio che i tronchi portati in Cina tornino in Italia sotto forma di cippato?
«No. A quel punto avremmo potuto farlo noi. È molto probabile che torni sotto forma di mobili o imballaggi però».
Insomma, si lavora e si fatica, ma c'è una lezione che Vaia ha lasciato nella sua strada?
«In Vaia è mancata una visione nazionale, una regia che non può essere attribuita alle Regioni. Bisognava ragionare in chiave nazionale in un'ottica di sistema legno a livello più alto».
Andrea Zambenedetti
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