Più di 10 gradi a tremila metri, clima impazzito. «Si è formata una grossa quantità di acqua da fusione glaciale»

Lunedì 4 Luglio 2022
Più di 10 gradi a tremila metri, clima impazzito
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Temperature da giorni al di sopra della norma oltre i tremila metri. Numeri a due cifre registrati ad altitudini impensabili fino a qualche anno fa. Una condizione climatica e atmosferica di totale disequilibrio: c'è anche questo, secondo gli esperti, dietro il crollo di un pezzo ghiacciaio della Marmolada costato la vita, in un bilancio tutt'altro che definitivo, a sei persone.

Per il Cnr un fattore determinante è legato a quanto anche sulle Alpi si sta registrando in queste ultime settimane.

«Un crepaccio riempitosi dell'acqua di fusione non un seracco, tecnicamente - chiarisce il glaciologo Carlo Barbante - è stato all'origine del collasso del ghiacciaio in Marmolada». Un crepaccio invisibile in superficie, coperto da uno strato bianco sottile, che ha inghiottito per settimane (fin dai primi caldi di maggio) l'acqua di fusione della calotta di Punta Rocca. Fino a che l'enorme pressione di questa caverna liquida, unita alla pendenza della lingua glaciale, non ha rotto l'equilibrio, provocando il distacco. Barbante, docente dell'Università di Venezia, direttore dell'Istituto di Scienze Polari del Cnr, è un esperto di ghiacciai e delle loro dinamiche.

«Quello della Marmolada - spiega - è un evento eccezionale provocato dall'ondata di caldo delle ultime settimane. Ma ce ne saranno altri: i ghiacciai delle Alpi sono in una traiettoria di fusione irreversibile». Un evento di questa portata ha cambiato per sempre anche l'immagine di una lingua bianca divenuta col tempo un simbolo
del turismo nelle Alpi Orientali. «Quello che è venuto giù - osserva Barbante - è ghiaccio vecchio, sicuramente formatosi alcune centinaia d'anni fa, forse più». Ma anche e si invertisse del tutto l'immissione in atmosfera di CO2, ammonisce lo studioso, il destino dei ghiacciai non cambierebbe.

Fermarne il ritiro dunque non è possibile ma fare qualcosa per evitare il ripetersi di disastri forse sì. Ad esempio
continuando a emettere i bollettini di prevenzione valanghe anche in estate. Il sistema invernale di allerta sulle Alpi è molto efficiente. «È normale - spiega Barbante - che in questi periodi sia sospeso, ma quando ci sono ondate di calore come quest'anno si dovrebbe riprendere a diramare questi avvisi per mettere in allerta gli alpinisti, informandoli che ci possono essere crolli legati non solo alle precipitazioni nevose, ma anche alle ondate di calore».

E aggiunge: «Quest'inverno sulle Alpi Orientali è nevicato il 45% meno del solito. La Marmolada si è frazionate in piccoli glacionevati. E più le rocce restano esposte, più si scaldano, e più aumentano il ritmo di fusione del ghiaccio».

Da giorni «le temperature in quota sono state molto al di sopra dei valori normali - afferma Renato Colucci, dell'Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) - mentre l'inverno scorso c'è stata poca neve, che ormai quasi non protegge più i bacini glaciali». Caronte e la sua scia di calore estremo ha «verosimilmente prodotto una grossa quantità di acqua liquida da fusione glaciale alla base di quel pezzo di ghiacciaio». Un mix di elementi che messi in fila può determinare eventi estremi. «Siamo proprio nelle condizioni peggiori per distacchi di questo tipo», aggiunge il Cnr.

Tragedia della Marmolada, la spiegazione degli esperti

«Non possiamo dire in maniera univoca che il crollo sulla Marmolada sia avvenuto in conseguenza del cambiamento climatico, perché i seracchi da sempre sono collassati, causando anche vittime. Possiamo dire
che il ghiacciaio era in condizioni pietose: ai primi di luglio era in una situazione che solitamente non si verifica nemmeno a settembre». A parlare Jacopo Gabrieli, ricercatore dell'Istituto di scienze polari del Cnr di Venezia.

«Abbiamo avuto un maggio e giugno con temperature di 2,3 gradi sopra la media del periodo, che è un'enormità. A giugno avevamo temperature che solitamente si registrano ad agosto e il ghiacciaio ne risentiva. Le aree di alta quota sono sentinelle dei cambiamenti, dove sono molto rapidi», ha aggiunto Gabrieli, specificando come, a suo dire, il crollo non era prevedibile. A quanto riferito, i ricercatori dell'Istituto di scienze polari stanno facendo mappature dei dati storici delle temperature e dei dati satellitari per comprendere la massa di ghiaccio
interessata dal crollo».


LA PROVINCIA


Un quadro di «totale disequilibrio» che potrebbe portare, nei prossimi anni, al ripetersi di fenomeni drammatici come quello di ieri. A detta del presidente della Provincia di Belluno, Roberto Padrin, «i 10 gradi registrati a 3 mila metri rappresentano un nemico oscuro contro cui combattere. In montagna stiamo vedendo gli effetti più disastrosi».
Per l'Unione delle comunità montane gli «ecosistemi si stanno infragilendo: sappiamo che frane di roccia e di ghiaccio vi saranno ancora. La crisi ecologica e ambientale che viviamo rende la montagna più fragile, problema serio di una collettività, del nostro Paese, che non può passare oltre».

Ultimo aggiornamento: 5 Luglio, 10:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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