Strage della Marmolada, il racconto choc della coppia sopravvissuta: «Bombardati da blocchi di ghiaccio grandi come un camper»

Christian e Patricia Chêne sono i 2 alpinisti francesi usciti vivi dalla valanga del 3 luglio. Su “Montagnes magazine” descrivono quella «apocalisse». E del salvataggio di una vicentina

Martedì 2 Agosto 2022 di Angela Pederiva
Strage della Marmolada, il racconto choc della coppia sopravvissuta
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Quella maledetta domenica sulla Marmolada c’erano anche due francesi. Sono gli alpinisti che inizialmente erano stati inseriti nella lista dei dispersi, ma che successivamente si erano presentati alle autorità, riferendo di aver visto almeno una dozzina di persone sul ghiaione al momento del tremendo distacco. Si chiamano Christian e Patricia Chêne: la loro dettagliata e cruciale testimonianza, già agli atti dell’inchiesta sul disastro che il 3 luglio ha causato 11 morti e 8 feriti, è stata ora pubblicata sulla rivista transalpina Montagnes Magazine.

Una rievocazione dei fatti «cruda», avverte il periodico: «Non vogliamo fare del torbido o del sensazionale, la montagna merita di meglio», puntualizzano comunque gli autori, che hanno scritto l’intervento di proprio pugno (mentre la traduzione in italiano è nostra).


Marmolada, la coppia sopravvissuta


La coppia ha deciso di rendere pubblico tutto quello che ha visto e vissuto quel giorno solo dopo i funerali delle vittime: i vicentini Filippo Bari di Malo, Tommaso Carollo di Thiene, Paolo Dani di Valdagno e Nicolò Zavatta di Barbarano Mossano, i coniugi padovano-vicentini Davide Miotti ed Erica Campagnaro che erano originari di Cittadella e lavoravano a Tezze sul Brenta, il trevigiano Gianmarco Gallina di Montebelluna e la fidanzata vicentina Emanuela Piran di Bassano del Grappa, la trentina Liliana Bertoldi di Levico, i cechi Martin Ouda e Pavel Dana. «Abbiamo esitato molto a condividere questa uscita – premettono nell’articolo “Felicità e orrore sulla Marmolada” – visto il disastro che ha avuto luogo lì. Se lo facciamo oggi, è unicamente per tutti gli alpinisti che sono rimasti dietro di noi in omaggio alla loro memoria».

Strage della Marmolada, quelle 12 vite spezzate dal crollo del ghiaccio FOTO Il massiccio prima e dopo


Il racconto del crollo sul ghiacciaio


Il racconto degli Chêne comincia con il ricordo di una bella escursione sulle Dolomiti: «Domenica 3 luglio siamo ai piedi della Marmolada. Alle 6:30 partiamo per la ferrata della Cresta occidentale. C’è molta gente, sia per il percorso normale che per la via ferrata. Possiamo percorrere questa magnifica via ferrata da soli, dato che siamo tra due grandi gruppi. Quando arriviamo in cima c’è una folla, molte persone sono salite per la via normale. In cima, è la festa, si parla in italiano, si ride, si scatta una foto; insomma: una giornata magnifica». 
È l’ora di pranzo. «Iniziamo la discesa con due cechi in pantaloncini e scarpe da ginnastica», annotando alludendo evidentemente a Ouda e Dana. «Scendiamo la parete rocciosa muniti di corda e ci ritroviamo sul ghiacciaio. Il tempo di indossare i ramponi, scendiamo dal ghiacciaio molto incrinato ma con una buona traccia. Oltre alla cordata dei cechi, siamo con due cordate di italiani che sorpassiamo; questo marchierà il loro destino e il nostro. Sul fondo del ghiacciaio, troviamo i due cechi con i quali abbiamo messo giù i ramponi; sono 30 metri più avanti di noi. Il resto è una discesa in una barra rocciosa con un piccolo sentiero segnato».

A questo punto è Christian, alpinista che fa parte del Groupe de Haute Montagne, a parlare in prima persona: «Sono 30 metri davanti a Patricia nella discesa, raggiungo i due cechi e una coppia di italiani che attraversano una gola di roccia gialla». Dallo sviluppo della narrazione si capisce che questi ultimi sono Carollo e la compagna Alessandra De Camilli. «La donna è in difficoltà, quindi offro il mio aiuto, ma il suo compagno – precisa il francese – risponde gentilmente che andrà tutto bene. Trovo scomodo il passaggio in cui si trovano, quindi mi muovo di una decina di metri sulla sinistra per trovare di meglio; questo è ciò che mi salverà la vita».

«Quel rumore assordante e blocchi di ghiaccio che volano giù»

All’improvviso il gigantesco seracco si stacca dalla sommità del ghiacciaio, anche se lì per lì nessuno può capire cosa sta succedendo. «In quel momento – specifica Christian – c’è un rumore assordante sopra di noi. Patricia ha il tempo di chiedermi cos’è questo rumore. Non ho il tempo di risponderle che già l’enorme calotta di ghiaccio esplode 100 metri al di sopra di noi, nel punto in cui abbiamo messo i ramponi 5 minuti prima. Un enorme fascio di ghiaccio invade il cielo. Blocchi grandi come il nostro camper sfrecciano giù e volano su di noi a una velocità strabiliante. I blocchi si schiantano intorno a noi: un’atmosfera da apocalisse. Indossiamo i caschi, così proteggiamo le nostre teste come possiamo, in modo minimo. Un primo impatto seguito da altri sempre più grandi ci bombarda. Aspetto paralizzato il blocco fatale».


«Sento urlare poi una calma da fine del mondo»

Succede tutto in pochi attimi, in un clima di incredulità e di impotenza. «A 10 metri da me – confida Chêne – vedo la coppia italiana ancora lì nonostante i tanti impatti. Ma all’improvviso, un enorme flusso di ghiaccio e fango scorre giù come un geyser nella gola in cui si trovano. Li vedo gettati nel vuoto, sento urlare e poi, all’improvviso, una calma da fine del mondo. Guardo sopra di me, Patricia è ancora lì, viva e vegeta. Un miracolo. Ho solo una mano insanguinata. Sotto, la giovane donna urla». È appunto Alessandra. «Scendo il più possibile in mezzo ai blocchi di ghiaccio verso di lei e scopro che è gravemente ferita al viso e ha una gamba certamente fratturata. Lei è ancora legata, tiro su la corda e scopro il corpo del suo compagno mezzo sepolto; vedendo le sue condizioni capisco che è morto». Non c’è più nulla da fare per Tommaso. «I due cechi che erano accanto sono letteralmente scomparsi – continua il testimone – certamente sepolti sotto le tonnellate di ghiaccio. Annuncio la terribile notizia alla donna italiana che non capisce. Grido a Patricia di essere iper-vigile in questa parte che è diventata molto pericolosa a causa delle enormi quantità di ghiaccio e rocce instabili. Sopra, un corpo è appeso al muro; visione dell’orrore. Improvvisamente, un corpo cade a tutta velocità alla destra di Patricia da una trentina di metri, prima di fermarsi miracolosamente a 10 metri da lei. Nonostante un ginocchio ferito, la donna riesce a raggiungerci. Consiglio a Patricia di distogliere lo sguardo per non vedere questo macabro spettacolo; corre a ripararsi di lato».


«Siamo storditi, vivi senza sapere davvero perché»

Mentre scatta l’allarme verso Canazei, i due francesi prestano i primi soccorsi. «Da parte mia – spiega l’alpinista – soccorro la donna ferita per cercare di evacuarla dalla zona. Sfortunatamente, ha una gamba rotta. Resto con lei. Siamo storditi, vivi senza sapere davvero perché. Chiediamo aiuto. Un quarto d’ora dopo, gli elicotteri sono lì, evacuiamo la zona con l’aiuto del guardiano del rifugio che ci è venuto incontro. Torniamo giù come automi fino al rifugio. Sul posto, si prendono cura di noi, veniamo spogliati perché siamo inzuppati dalla testa ai piedi; non ne sapevamo nulla. Ci danno coperte, ci danno da bere e da mangiare. Nel rifugio, un’altra persona gravemente ferita viene curata. Dopo un’ora, prendiamo la decisione di tornare giù con i nostri mezzi al parcheggio. Una coppia italiana ci accompagna gentilmente fino a sotto. Ci rifugiamo nel nostro camper, siamo così scioccati che non ci rendiamo conto di ciò che ci è appena accaduto. Trascorriamo una notte inquieta lì».
In quel frangente la coppia transalpina viene creduta dispersa.

Ancora non capiamo perché siamo vivi. Ci vorrà tempo e aiuto per superare questo trauma

«Il giorno dopo – rivelano però gli Chêne – scendiamo al punto di soccorso per dare tutte le informazioni che abbiamo sulla posizione degli scalatori al momento della tragedia e dare quante più informazioni possibili sulle persone che abbiamo incontrato. Nel pomeriggio faremo una dichiarazione scritta con un interprete presso i carabinieri». Un verbale prezioso, per l’incrocio dell’elenco delle persone reclamate con la lista dei corpi recuperati. «Voltiamo le spalle alla Marmolada sventrata – concludono Christian e Patricia – e lasciamo dietro di noi i morti, i dispersi e i feriti gravi. La calotta glaciale che è crollata era alta 80 metri, larga 200 metri e spessa 60 metri. Il bilancio è pesante: 11 morti e molti feriti gravi. Ancora non capiamo perché siamo vivi. Ci vorrà tempo e aiuto per superare questo trauma». 

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Ultimo aggiornamento: 17:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA