Mares: "Io, scorta di Maradona per un giorno, toccai con mano de Dios"

Venerdì 27 Novembre 2020 di Maurizio Ferin
Diego Maradona nel racconto di un agente bellunese che gli fece da scorta

BORGO VALBELLUNA - Mercoledì, attorno alle 18, il mondo si è fermato. La notizia della morte di Diego Armando Maradona ha avuto un effetto domino ed è arrivata dritta al cuore di milioni di persone, a iniziare da Andrea Mares. «Mi è quasi venuto da piangere, per quelli della mia generazione che l’hanno visto giocare, è uno di quei campioni che non puoi dimenticare». Classe 1967, nato a Feltre ma originario di Sospirolo, da 34 anni Mares è cittadino zumellese, perché di Mel è la moglie Marzia. Ma l’emozione provata da questo gigante buono, una vita da poliziotto che a febbraio 2021 si concluderà con la meritatissima pensione, non è spiegabile solo con la passione per il calcio (è stato attaccante e allenatore). Perché Andrea è uno dei pochi (l’unico?) che in provincia di Belluno possa dire di essere stato al fianco del numero 10 argentino. «Beh, sì: io ho toccato la mano de Dios» dice scherzando ma non troppo, perché Maradona è stato una divinità dello sport e la “mano de Dios” è la celeberrima definizione che Maradona stesso diede per definire l’autore del gol all’Inghilterra, nel 1986. Una rete da annullare, un tocco di mano sfuggito ad arbitro e guardalinee in un’epoca in cui la Var non era neppure immaginabile. Maradona, capopopolo come mai prima, segnò di mano e attribuì al gesto una volontà divina, destinata a punire gli inglesi per le diatribe sulle Malvinas, sfociate in un conflitto clamoroso per l’epoca moderna. Era la stessa partita in cui Diego Armando segnò un altro gol leggendario, il più bello di tutti i tempi. Tutto nella stessa partita.
UN CELERINO ALLO STADIO
Pochi mesi dopo, Andrea Mares accompagnò Maradona nella sua veste di poliziotto. Per pochi, indimenticabili metri. «Era il 12 aprile del 1987 - ricorda come ha fatto anche sul proprio profilo Facebook - e io, che facevo parte del Reparto Celere di Padova, mi trovavo come spesso capitava in quel periodo a svolgere servizio d’ordine negli stadi di serie A. Ai miei colleghi non piaceva tanto, a me invece sì. Potevo vedere da vicino i più grandi calciatori del mondo». La partita era Verona-Napoli, i campani stavano per laurearsi campioni d’Italia per la prima volta. L’Hellas però aveva una grande squadra, vinse 3-0 e Maradona sbagliò anche un rigore, uno dei pochi falliti in carriera. «E io ero dietro la porta - ricorda come fosse oggi Mares - la parata fu di Giuliani, poi compagno di squadra di Diego proprio al Napoli, morto anche lui giovane». A fine partita, a ogni celerino veniva attribuito un compito preciso. «Io dovevo occuparmi di contenere il pubblico nella zona di uscita dagli spogliatoi, fino a quando ci dissero che dovevamo accompagnare un giocatore a una vettura, facendolo passare sì tra due transenne, ma piene di tifosi». Il giocatore era lui. Il più forte di tutti i tempi, il campione del mondo. «Mi sono trovato là, un fatto unico, irripetibile. Lo scortammo io e un mio collega di Chioggia, tenendolo sotto braccio. Pochi metri, una cinquantina. Lo trascinammo quasi, per evitare il caos. In auto, una Mercedes coupè, lo attendeva Caliendo, il suo procuratore». Erano altri tempi, 33 anni fa non c’erano i telefonini, «altrimenti di certo non mi sarei lasciato sfuggire l’opportunità di farmi una foto con Maradona».
UNA FAMIGLIA DI GIGANTI
«Io amo lo sport - aggiunge Mares - e questo episodio l’ho spesso raccontato ai miei figli come anedotto simbolo della passione». Non a caso, Martina, 25 anni, 1.80 di altezza, è giocatrice di pallavolo in serie C con il Limana, mentre Enrico, ventottenne alto 2.01, ha giocato fino alla B1 di pallacanestro. «Ora lui sta finendo il corso di Polizia e pochi giorni fa, a proposito di coincidenze, nella sua caserma è andata a parlare la vedova di Antonio Montinaro». Se la morte di Maradona ha fatto piangere Mares, sentirlo parlare di Montinaro fa venire i brividi a tutti. Montinaro è uno dei membri della scorta del giudice Falcone trucidata dalla mafia nel terribile attentato del maggio 1992 a Capaci. «Non finirò mai di ringraziare la Polizia per l’opportunità che mi ha dato di girare tutta l’Italia. Compresa Palermo, prestavo servizio durante il maxiprocesso. E lì conobbi Montinaro. Era come Serpico, una persona eccezionale».
IL MARATONETA
Trent’anni dopo, i destini si intrecciano, i ricordi scuotono una memoria di ferro, «io che tengo i diari e conservo tanti articoli», dice Mares, che nel 2005 fu protagonista di una fortunata rubrica del Gazzettino, mettendosi in gioco come apprendista maratoneta, grazie ai programmi di allenamento dell’amico e collega Johnny Schievenin. «Già, la “cavia”. Era il 2005, pesavo 100 kg eppure portai a termine la Maratona di Treviso in meno di 4 ore». Proprio così, 3 ore e 43 minuti per i fatidici 42,195 km. Diego Maradona gli avrebbe fatto i complimenti.
 

Ultimo aggiornamento: 10:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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