BELLUNO - Oggi sta bene, mercoledì avrà mal di pancia, di testa, una nausea infinita, le lacrime che bruciano, come la pipì, e male alle ossa. Probabilmente tutte. Jacopo sa che mercoledì starà così non perché è un indovino, ma perché ha il cancro e lunedì prossimo (ri)farà la chemio. Trentasette anni, veneziano adottato da Sois, agricoltore e fondatore di Terra Umana, fattoria didattica e sociale, papà di due bimbi, Jacopo Emma a luglio ha scoperto di avere un tumore al quarto stadio. Quindi fine del lavoro e inizio della chemio. Giovedì, quattro mesi dopo, ha aperto facebook e scritto una lettera a Giorgia Meloni, il presidente del Consiglio. «Faccio un sacco di chemio, come tanti. Ma a differenza di altri, non ho alcun diritto - scrive -. Non seminerò, né raccoglierò fino a quando non guarirò o morirò. Fino a quando questo bug genetico non verrà resettato dal mio sangue, dalla mia milza, dalle mie ossa e dal mio midollo... L'Inps mi sostiene con 184 euro di inabilità al mese ... Nessun diritto. Solo doveri».
«NOI, SENZA DIRITTI»
IL SOGNO E LA MALATTIA
«Il mio è un linfoma latente, indolente, che ora si è presentato con una pesante recidiva - dice -. A 20 anni c'era già, e da allora ho sempre avuto un pensiero visivo della morte, più vicino rispetto a quello dei miei amici. A 33 anni mi sono detto: se non realizzo il sogno della azienda agricola e fattoria sociale ora, quando?. E l'ho fatto». Cosa vorresti che la tua lettera ottenesse? «Quello che ho scritto - risponde semplicemente -. Per chi fa questo lavoro vorrei la paternità, la malattia, le ferie, la possibilità di prendersi un giorno di pausa. Impossibile? Sì, anche perché per molti chi fa impresa è ricco, benché io tra di noi veda così tanta gente semplice. Ma almeno, allora, che gli si aiuti quando stanno per morire, o rischiano di morire, evitargli di andare in stalla e prendersi un'infezione. Pagargli un dipendente con cuneo fiscale azzerato che lo sostituisca? Dargli qualche euro per potersi fermare e prendersi cura di sé? Semplicemente, farli respirare, sopravvivere. Finché possono o finché gli è concesso». Per te, invece, cosa vorresti? «Vivere la primavera della mia terra, tornare lì, accogliere di nuovo i ragazzi, le persone svantaggiate con cui lavoro. Tornare a primavera significherebbe che la prima linea di cure ha funzionato, e che non ce ne sarebbero altre. Significherebbe tornare a lavorare».
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