«Inseguiamo i lupi per raccontare la loro storia, dal 2018 è diventata la nostra missione»

Domenica 30 Gennaio 2022 di Fulvio Mondin
I tre fotografi naturalisti, Bruno Boz, Ivan Mazzon, e Roberto Sacchet

FELTRE - Hanno seguito i lupi per oltre due anni, si sono emozionati alla vista della prima coppia di animali e quasi commossi quando li hanno immortalati mentre attraversavano l’acqua con la neve.

Immagini e storie che i tre fotografi naturalisti, Bruno Boz, Ivan Mazzon, e Roberto Sacchet raccontano nel video-fotografico e multimediale realizzato dal Parco Dolomiti Bellunesi. Ma anche rispondendo alle domande nel corso di una recente serata, al Centro culturale di Quero Vas.

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Come è iniziato tutto?
«Il progetto nasce nel 2018 quando abbiamo avuto la fortuna di riprendere la prima coppia di lupi nel Parco delle Dolomiti Bellunesi e da allora abbiamo voluto seguirla e capire come si sarebbe sviluppato un nuovo branco all’interno dell’area protetta».
 

Perché è nata questa passione per i lupi?
«Anche se sono oramai 3 anni che parliamo dei lupi e diamo per scontato che ci siano, dobbiamo tener presente che erano dati per scomparsi da 2 secoli per cui ci siamo ritrovati a vivere un momento storico: il ritorno di un grande predatore completamente sparito dalle Alpi e anche da molte aree dell’Europa. Il nostro progetto vuole raccontare tutti gli aspetti di questo ritorno: quelli positivi e quelli negativi, perché sappiamo che è una specie ingombrante senza fare sconti e senza dire cose non vere. Ciò che ci siamo prefissati è di documentare il più possibile ciò che succede nell’area protetta».

Oggi c’è il mito del lupo. Voi volete invece raccontare la vera storia. Volte sfatare quel mito?
«Gran parte della storia è data da video di videotrappole, fototrappole, fotografie, racconti anche da parte degli allevatori che vivono nell’area protetta. È una storia affascinante che ha aspetti positivi e negativi e a noi interessa raccontarli nel modo più corretto possibile».
 

Quali difficoltà avete trovato nell’inseguirli?
«È un animale molto difficile. Sentiamo sempre più casi di lupi che si avvicinano ai paesi, ma il lupo ha verso l’uomo un certo timore e cercare il lupo nel suo habitat è molto difficile. È molto elusivo, attento a qualsiasi cambiamento nel suo ambiente naturale. Noi posizioniamo apparecchiature particolarmente sofisticate e le mimetizziamo ma lui si accorge di qualsiasi cosa fuori posto, per cui dobbiamo curare in ogni dettaglio la mimetizzazione e cercare di creare il minore impatto visivo possibile non trascurando il fatto che noi lasciamo giù il nostro odore quando operiamo in questi ambienti. Il lupo se ne accorge subito per cui, se non si è fatto un lavoro accurato, cambia traiettoria, cambia strada e non passa davanti alla fototrappola».

Quali sono le aree sulle quali avete operato? 
«L’area protetta è quella centrale del Parco. Effettuiamo lunghe camminate in quota d’estate e nel fondovalle d’inverno nel Gosaldino e verso Rivamonte. Durante queste numerose uscite non è facile portare a casa il risultato sperato, così spesso ci consoliamo con immagini di panorami e altri animali che ci concedono spesso scatti che, comunque, contribuiscono ad arricchire il nostro progetto.
 

Quale dovrà essere il risultato finale?
«Il prodotto finale sarà un documentario che vuole trattare il ritorno del lupo e la sua convivenza con l’attività zootecnica, il rapporto fra uomo e animale e la nostra storia di documentaristi che per questi anni lo abbiamo inseguito sempre con discrezione cercando di ritrarlo nel suo ambiente naturale, nel miglior modo possibile. Noi vogliamo raccontare la realtà, a volte scomoda, del ritorno di questo predatore che svolge un ruolo importante nell’ecosistema e nella catena alimentare. Il progetto è del Parco delle Dolomiti bellunesi. A 2 anni dal suo avvio siamo un po’ in difficoltà in quanto il materiale video e fotografico raccolto è ancora poco. Dovremo lavorare sodo nel prossimo anno in queste zone soprattutto negli angoli inconsueti, quelli nascosti dove portano le piste dei lupi. Ora conosciamo abbastanza bene il lupo e possiamo anticipare gli spostamenti e portare a casa documenti importanti».
 

Come si inserisce il vostro lavoro nell’attività dell’Ente Parco? 
«Il Parco ha la competenza di monitorare con i carabinieri forestali gli andamenti della fauna all’interno dell’area protetta. Chiaramente l’arrivo del lupo è diventato una priorità anche dal loro punto di vista sia in termini conoscitivi per capire cosa succede al lupo e al resto della fauna, che per gestire allevatori e attività. A noi il compito di raccontare. C’è un sito aggiornato quindicinalmente con una foto raccontata. In collaborazione col Parco abbiamo scritto testi che spiegano vari aspetti anche tecnici della vicenda. Ci interfacciamo costantemente anche con i carabinieri forestali. Tutte le immagini che catturiamo, oltre allo scopo documentaristico, hanno uno scopo scientifico perché forniamo i segni di presenza del lupo al Parco che li archivia e li riporta in un grande progetto nazionale in corso di monitoraggio sul lupo. Il Parco è coinvolto parallelamente anche in un progetto europeo. Tutti questi soggetti e attori ruotano intorno al lupo e noi siamo solo un anello della catena. Il nostro scopo è catturare immagini di un certo interesse».

Ultimo aggiornamento: 17:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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