Jessica Barattin, dall'Alpago a ufficiale dei carabinieri a Reggio Calabria: «Servo lo Stato e sogno una famiglia»

Martedì 9 Marzo 2021 di Camilla Mozzetti
Jessica Barattin, papà di Chies d'Alpago, è ufficiale dei carabinieri a Reggio Calabria
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CHIES D’ALPAGO A 35 anni, con una laurea in Giurisprudenza all’università di Padova e il grado di tenente dell’Arma dei Carabinieri, Jessica Barattin dà la caccia ai latitanti. E lo fa in quella storica sezione del comando provinciale di Reggio Calabria che nel 2016 arrestò Ernesto Fazzalari, il secondo ricercato più “famoso” al mondo dopo Matteo Messina Denaro. Di questa donna, famiglia originaria dell’Alpago (il papà Liberale è morto ed era di San Martino di Chies, dove vivono una nonna e una zia), nata e cresciuta a Bergamo (dove abita la mamma Maria Grazia), che ha scelto di operare in quel “Sud” da cui chi ci è nato fugge via spesso, ci sono due aspetti fondamentali da sottolineare.

APPROFONDIMENTI
È la prima ed unica donna Ufficiale dell’Arma a operare nel comando provinciale di Reggio Calabria, trascorre le sue giornate al Nucleo Investigativo, ma lo fa con il sogno di costruire poi anche un futuro pregno di affetti, avere dei figli, consapevole che ad un certo punto della sua vita si troverà di fronte ad una scelta: «Questo lavoro per me è tutto, l’impegno nel Nucleo Investigativo l’ho desiderato, cercato e infine avuto - dice - perché è quello che mi dà più stimoli ma tra dieci anni sogno anche una famiglia e crescere dei figli dando però la caccia ai latitanti è impossibile da gestire insieme».

Non è una dichiarazione di “resa” la sua quanto una «costatazione oggettiva» lontana da ogni rivoluzionaria ipocrisia. A Reggio è arrivata tre anni fa, dopo un impegno come maresciallo in Sicilia. «Era il settembre del 2018», ricorda la Barattin e già si trovò catapultata in un’operazione al «cardiopalma»: la cattura di Filippo Morgante, tra i latitanti più ricercati d’Italia, considerato reggente della cosca Gallico di Palmi.

Tenente Barattin, arrivata a Reggio Calabria e subito in azione?
«Un inizio al cardiopalma l’attività investigativa era già nel vivo quando sono arrivata al comando. Era settembre 2018 e Filippo Morgante lo abbiamo arrestato circa un mese più tardi. Le confesso che mi sono trovata anche nella difficoltà di coordinare persone che ancora non conoscevo e di trascorrere con loro circa 20 ore al giorno».
Essere donna l’ha aiutata nell’attività?
«Molto, è un po’ come avviene per le donne indagate che sono legate alle organizzazioni criminali. Si pensa che queste sfuggano meglio al controllo delle forze dell’ordine e agli investigatori. Ecco, si potrebbe dire lo stesso per quanto mi riguarda. Filippo Morgante si era nascosto in un comprensorio sulla Tiburtina. Il condominio era molto ampio, io sono potuta entrare senza dare nell’occhio perché una donna anche se è un investigatore dà meno sospetti». 
Come vive il suo ruolo?
«Questa è una sfida che ho voluto fortemente, la mia carriera da Ufficiale è iniziata nel 2017 con il corso e poi a livello operativo a settembre dell’anno successivo direttamente a Reggio. L’avevo chiesto, dopo un’esperienza trascorsa in Sicilia, è stata una novità perché sono di fatto la prima e l’unica donna Ufficiale in tutto il comando provinciale di Reggio Calabria».
E quando arrivata i suoi colleghi come l’hanno accolta?
«Con un po’ di perplessità come era prevedibile ma fino a quando la nomina è rimasta solo sulla carta. Adesso ci ridiamo su ma ecco, stava arrivando una donna, dal Nord, pure vegetariana: si erano preoccupati ma al mio arrivo le cose sono cambiate. Sono uomini di grande professionalità e con un’apertura mentale tale da non creare problemi». 
Lei perché ha scelto questo mestiere che nell’immaginario collettivo è molto maschile?
«Mi sono arruolata superando il concorso marescialli perché mi attirava l’idea di servire lo Stato ed essere utile alla collettività ma, al contempo, essere vicina ai cittadini che è la prerogativa dell’Arma dei carabinieri. Mio padre, ex sovrintendente della polizia stradale, mi voleva giornalista. Io invece ho scelto il Sud e questo lavoro è quello che desideravo perché è stimolante e offre tante opportunità». 
Il suo futuro tra dieci anni come lo immagina?
«La mia aspirazione sarebbe quella di tornare in Sicilia, mi vedo comunque ancora al Sud, mi piacerebbe portare avanti ancora per qualche anno l’attività investigativa che è molto stimolante. Non le nego che in una seconda fase della mia vita, nell’ottica di costruire una famiglia e con il desiderio di avere dei figli, potrei anche valutare un incarico che mi possa consentire un tipo di lavoro diverso ma sempre stimolante e utile ai cittadini».

 

Ultimo aggiornamento: 08:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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