«Tra la vita e la morte per 40 ore, ma a Feltre sono rinata: ecco come mi hanno salvata»

Venerdì 3 Febbraio 2023
Resy Donadel, con ictus sola in casa per 40 ore, racconta di come è stata salvata

BELLUNO - Un ictus, quando sei a casa da sola. Un venerdì sera di festa, perché quel giorno è il patrono della tua città. L’impossibilità di muoversi e di chiamare aiuto. Tutto questo è accaduto a una donna di Salce, l’11 novembre scorso, il giorno di San Martino. La scorsa settimana, concluso un percorso di riabilitazione guidato dal personale specialistico dell’ospedale di Lamon (attualmente operativo al Santa Maria del Prato di Feltre), Resy Donadel, 67 anni d’età, è potuta tornare a casa, camminando sulle proprie gambe. Questa è la sua straordinaria testimonianza, le sue 40 ore tra la vita e la morte, una storia di caduta e rinascita.
All’improvviso senti qualcosa di strano, non capisci, non sai cosa pensare, poi ti guardi e vedi che il tuo corpo è cambiato; il braccio destro è a penzoloni, la gamba destra dritta come il manico di una scopa.

Immobile. Sembra un gioco, penso: se muovo l’altra parte, si muoverà anche la destra, ci provo e riprovo ma niente. Non ho nessun dolore, non mi arrendo, penso: è impossibile. Provo e riprovo, il mio corpo dal lato destro non mi risponde, mi dimeno fino a cadere a terra. Sono senza fiato e mi dico: qui ho bisogno di aiuto.

LA PAURA

È venerdì sera, ore 20, la festa di San Martino e sono sdraiata a terra a pancia in giù, semi immobile. Comincio a pensare: forse è giunta la mia ora, mi dispiace, vorrei ancora fare dei viaggi, godermi la meritata pensione, ma ognuno ha il proprio destino. Invoco mentalmente mia nonna, la invoco ripetutamente ma non ottengo risposta. Tutto tace, all’improvviso anche la tv si spegne, non era mai successo. Sono da sola con una fioca luce e mi rendo conto che anche se voglio chiamare i soccorsi il mio cervello è in blackout, non ricordo nessun numero, penso e ripenso, uno zero assoluto. Il mio corpo è stanco e crollo. Dopo alcune ore mi risveglio, non ho avuto nessun messaggio e mi chiedo: cosa faccio? Mezzo corpo funziona: diamoci da fare, in primis mi devo girare a pancia in su e penso che poi tutto sarà più facile, recupero il braccio immobile sotto la pancia e qui mi rendo conto che trascinarlo e alzarlo è tutto un programma, mi sento inerme e mi muovo solo per intuizione. Ok, cosa mi serve? Coprirmi. Con la mano e gamba sinistra comincio a prendere coperte e cuscini dal divano così posso stare al caldo. Ho anche una bottiglia d’acqua e penso: a breve mi verrà in mente il numero del pronto soccorso. So che è facile, solo tre cifre, ma quali? Chissà! Vicino c’è il telefono fisso, c’è il computer, diamoci da fare! Rovescio tutto, cerco di mettere in ordine, recupero l’agenda ma non ho gli occhiali giusti, non importa, troverò qualche numero scritto più grande, prendo il telefono e mi rendo conto che in mano o ho l’agenda o ho il telefono. Da distesa riesco ad alzare solo la testa, i miei movimenti sono veramente limitati, il cervello pensa: se grido aiuto forse qualcuno mi sentirà. Nessuna risposta. Il mio corpo crolla, richiede ancora riposo. La notte è passata, siamo a sabato, mi sento riposata, da mia nonna non ho nessun segnale (inciso di Chiara: continua a non cagarmi), quindi penso: non posso stare ferma, sono anche chiusa dentro, devo inventarmi qualcosa: ma certo, ho la fettuccia della ginnastica, la vado a recuperare però mi devo rigirare a pancia in giù e trascinarmi, con il corpo dimezzato, dalla sala al corridoio. Come mi organizzo? È tutto un programma. Il braccio destro non si controlla, penso: mi aggrappo al mobiletto che ha le ruote ed è fatta. Sembro un clown, con la mano sinistra tengo la destra e mi spingo col busto. Per fare pochi metri non so quanto ci metto, mi trascino, crollo, mi ritrascino, ricrollo. Devo farcela, ci riesco. L’idea che mi sembrava super si è rivelata un bluff. Assolutamente non riesco a prendere ed alzare il piede, fatica sprecata. Torno al mio “campo base” e crollo. Meritato riposo.

I TENTATIVI

Mi sveglio e penso a cosa fare ora. Riproviamo con telefono ed agenda. Memoria zero. Infiniti tentativi falliti. Nessuno mi chiama al telefono, sono sola in balia di me stessa. O mi do da fare o mi lascio andare. Ho ancora forze. Bene, penso; pensiamo adesso alla porta, si riparte, stesso procedimento di prima. Stavolta rovescio di tutto, è tutto in mezzo e, per trascinarmi devo mettere tutto in ordine, poi si riparte. Il cervello lavora. Idea: posso usare lo swiffer per accendere la luce del corridoio. Per aprire la prima porta quanti tentativi! Ma senza risultato. Il corpo cede e ricede. Sono sdraiata sulle piastrelle del corridoio, ho freddo, recupero un tappetino per ripararmi la pancia finché riprendo le forze per ritornare al “campo base”. I pensieri viaggiano, le mie idee non mi portano a niente. Mia nonna non mi vuole. Cosa mi invento ancora? È giunto anche sabato sera. Sono ventiquattro ore che sono qui in queste condizioni, per fortuna senza dolori ma anche senza aiuti. Non so più cosa pensare, cosa fare. Mollo tutto e quel che sarà sarà, che sia questa la finale del mio percorso terreno? Mi rode un po’, ma bisogna anche saper accettare. Mi riaddormento per sfinimento. È sempre un sonno profondo senza sogni e solo per poche ore. Di nuovo sveglia. La memoria un vuoto totale, ma il cervello c’è. Idea: uso il cellulare; però è spento ed è sul tavolo della cucina. Proviamo a recuperarlo. Mi riorganizzo, riparto, mobiletto per la mano destra, trascinamento, spinta dopo spinta arrivo in cucina. Ho dimenticato lo swiffer, senza quello è un altro tentativo nullo. Torno in corridoio per recuperarlo. Faccio un disastro: sgabelli, borse, scatole, scarpe, tutto in mezzo. Faccio buon viso a cattiva sorte, metto in ordine, mi faccio strada per recuperare la mia “scopa magica”. Il corpo dice stop: mi devo riposare a pochi metri dalla meta. Forza e coraggio, o la va o la spacca. Si riparte, la cucina è a pochi metri, il tavolo mi sembra ben più alto di quello che ricordo. Il telefonino non deve cadere a terra, si può rompere. Devo inventarmi qualcosa, sposto la sedia, mettendola all’altezza del cellulare e lo faccio cadere; prova e riprova con la “scopa magica” Eureka, ce l’ho fatta! Non ho più forze, devo tornare al “campo base” e riposare al caldo, lo sforzo è più grande del previsto e crollo di getto.

I SOCCORSI

Domenica mattina, 13 novembre 2022, il cellulare è spento ed è programmato per la mano destra, usare la mano sinistra è tutto un cinema. Le ore passano, i tentativi sono tanti. Finalmente riesco a chiamare un vicino di casa che allerta i pompieri per la porta e il pronto soccorso. Dal 12 dicembre 2022 sono all’Uo Rrf di Lamon (in questo periodo operativa a Feltre, ndr), sto recuperando alla grande. Ho scoperto un mondo sconosciuto che insegna (a chi vuole) quanto si è fortunati, ad apprezzare le piccole cose fatte di piccoli passi della vita giornaliera e la qualità della vita che puoi in questo caso scegliere di vivere. Il mio obiettivo è essere più autosufficiente possibile per poter continuare a vivere da sola. In un nanosecondo la tua vita cambia, ma se ti impegni con tutta la tua forza e tenacia ti ridà la gioia di riconquistarla.

Ultimo aggiornamento: 11:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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